Trump ha parlato ai suoi sostenitori a Mar-a-Lago in Florida - Ansa
"L'unico crimine che ho commesso è stato difendere l'America da chi la vuole distruggere. La mia incriminazione è un insulto agli Stati Uniti". Donald Trump torna nel suo bunker di Mar-a-Lago subito poche ore dopo essersi consegnato al tribunale di New York per ascoltare i 34 capi d'imputazione a suo carico nel caso Stormy Daniels e arringa i suoi sostenitori riuniti in uno dei saloni del resort.
Un discorso di poco più di mezz'ora, durante il quale il tycoon è apparso provato e meno combattivo del solito, anche se non ha rinunciato a sferrare i soliti attacchi contro i suoi accusatori e il "sistema giudiziario corrotto, diventato ormai illegale", nonostante l'avvertimento del procuratore di New York a non incitare alla violenza.
"Non ho mai pensato che una cosa del genere potesse accadere in America", ha detto Trump, mentre i suoi sostenitori urlavano "Usa, Usa!". Sul palco con l'ex presidente i figli Eric e Donald jr, mentre erano assenti la moglie Melania, che pure lo ha accompagnato a Manhattan, e la figlia ed ex consigliera, Ivanka.
Dopo aver ribadito che tutte le indagini a suo carico sono "persecuzioni politiche", il tycoon ha ricoperto d'insulti uno per uno i procuratori coinvolti: da Bragg, "pagato da George Soros", a Letitia James a Jack Smith, impegnato nell'inchiesta sulle carte top secret portate dalla Casa Bianca a Mar-a-Lago, che ha definito un "pazzo". Tutti, secondo l'ex presidente, sono strumenti della "sinistra radicale" che hanno l'obiettivo di "fermarlo ad ogni costo". Anche l'indagine della procura di Atlanta, in Georgia, è "un caso falso per interferire nelle elezioni del 2024 e dovrebbe essere archiviata subito" per Trump che ha definito "perfetta" la telefonata in cui fece pressioni per ribaltare il voto del 2020 in quello stato.
Quindi è passato ad attaccare Joe Biden e la sua ex avversaria Hillary Clinton per 'l'email gate'. "Vuole la terza guerra mondiale", ha tuonato Trump contro il presidente americano sostenendo che "quando era senatore ne ha combinate di tutti i colori ma nessuno lo ha arrestato".
Trump in tribunale: 34 capi d'accusa, si dichiara "non colpevole"
di Elena Molinari, New York
Donald Trump voleva la foto segnaletica, ma non gliel’hanno fatta, anche se la sua campagna ha cominciato a vendere magliette con un’immagine finta e la scritta «non colpevole» a 47 dollari. La stessa frase che ha pronunciato dopo la classica domanda del giudice: «Not guilty». Voleva essere scortato fuori dal tribunale dai poliziotti come un criminale comune, ma la «sfilata dell’imputato» gli è stata negata. Donald Trump ha però ottenuto una concessione importate: che il suo arresto e la sua incriminazione si facessero di persona al tribunale penale di New York, anche se gli era stata offerta l’alternativa di svolgere i passaggi obbligati via Zoom. Nel giorno in cui è diventato il primo presidente o ex presidente della storia americana a essere preso in custodia dall’autorità giudiziaria, l’ex capo della Casa Bianca è rimasto determinato a usare l’attenzione a suo vantaggio. Uno spot pubblicitario pagato dai contribuenti dello Stato di New York. La Procura e il giudice Juan Merchan sembrano invece intenti a tenere il procedimento il più possibile lontano dai riflettori.
«Surreale», ha commentato il tycoon prima che iniziasse l’udienza e gli venissero letti i 34 capi d’imputazione, che comprendono il pagamento illegale alla pornostar Stormy Daniels e a un’altra donna, la modella di Playboy Karen McDougal, e anche un complotto per coprire il crimine. Poi ha inveito ancora contro la «caccia alle streghe» lanciata contro di lui dai democratici, accusato il giudice di essere di parte e chiesto di spostare il processo a Staten Island, dove la maggior parte degli elettori lo sostengono. «Oggi è il giorno in cui un partito politico al potere arresta il suo principale oppositore», ha scritto in una email ai suoi sostenitori. Molti esponenti di punta del Grand old party hanno seguito la stessa linea. Il senatore repubblicano Marco Rubio, ad esempio, si è lamentato che le accuse contro Trump rendono «normale» perseguire in giustizia gli oppositori politici.
Ma la folla di manifestanti che Trump ha cercato di mobilitare non si è materializzata. Fuori dal tribunale c’erano più giornalisti che sostenitori del principale candidato repubblicano alla presidenza. Questi ultimi si sono però fatti sentire, scandendo slogan come «Trump 2024» e «Usa, Usa» e inneggiando al «presidente migliore della storia americana». Avvolti nei colori bianco, rosso e blu della bandiera americana, sono arrivati da diversi Stati americani per rivendicare la loro libertà di espressione e di protestare contro un sistema che si è accanito ingiustamente contro l’ex presidente. «Se la prendono con un innocente», ha gridato la deputata repubblicana trumpiana Marjorie Taylor Greene di fronte alla Procura di Manhattan dove sono state autorizzate le proteste. Poco prima a manifestare il suo appoggio all’ex presidente era stato George Santos, il deputato conservatore di New York salito alle cronache per aver truccato il suo curriculum. Alcuni contro-manifestanti hanno ricordato a «Donald» che «in prigione non c’è la lacca per i capelli».
Anche grazie al fitto presidio di sicurezza, non ci sono stati incidenti. Trump, arrivato in auto, ha salutato i suoi fan alzando il pugno chiuso in segno di loro, poi, dopo la presa delle impronte digitali, è stato scortato in tribunale attraverso una serie di passaggi segreti e sotterranei. In aula il giudice aveva autorizzato la presenza di soli cinque fotografi in aula per scattare immagini, ma solo prima dell'udienza, e ha vietato le telecamere.
A tenere la massima distanza possibile dal caso è sempre Joe Biden, per il quale «l'incriminazione di Donald Trump non è una priorità», come ha sottolineato la sua portavoce. Nella serata di ieri sembrava anche probabile che il giudice imponesse all’imputato di «il silenzio sul caso per preservare l’integrità del sistema giudiziario», di fatto impedendogli di continuare a inveire contro la magistratura sui social.
Seduto accanto all’ex presidente e ai suoi avvocato sul banco degli imputati c’era anche Boris Epshteyn, ex consigliere di Trump alla Casa Bianca già coinvolto nell’inchiesta sui tentativi di Trump di invalidare la vittoria di Biden nel 2020. Dopo un’ora e un quarto l’epilogo, con la liberazione senza cauzione.