Il premier Denys Shmyhal e il ministro della Difesa Oleksii Reznikov su uno dei Leopard 2 polacchi arrivati a Kiev nel giorno dell’anniversario della guerra - Reuters
Percorrendo a ritroso la dorsale delle armi, si attraversano le rovine di Kherson, le macerie di Mykolaiv, i laghetti ghiacciati tra Uman e Kiev, lo snodo di Zytomir, lungo la direttrice per Leopoli e la Polonia, ormai principale porta d’accesso dell’ininterrotto fiume di armamenti che a cielo aperto scorre da una regione all’altra dell’Ucraina. Dopo un anno di guerra si impara a riconoscerne le tracce dai segni lasciati sul terreno. Le grosse chiazze annerite sull’asfalto indicano che da lì sono stati sparati contro le forze russe gli Himars americani. Razzi di un metro, facili da nascondere dentro a un insospettabile furgoncino, ma micidiali al momento dell’impatto. In un paio di occasioni finiamo bloccati sull’unica corsia ancora agibile. Un soldato coi modi da vigile urbano ferma la circolazione: «Finiamo subito», assicura. A neanche mezzo chilometro, una raffica di 18 fiammate da terra sprigiona una colonna di polvere e fumo. Alla vista dei razzi sparati da un lanciatore mobile, gli automobilisti suonano i clacson e urlano. È il loro modo per incitare i soldati che con tecniche da guerriglia si spostano rapidamente, premono il pulsante e poi spariscono nella boscaglia.
Per alcuni giorni seguiamo il flusso di consegne armate che coinvolge una complessa filiera logistica. I primi due carri Leopard promessi dai Paesi Ue non vengono neanche nascosti. Sono caricati su Tir civili scortati da vecchie camionette militari. Il divieto di fotografare, assoluto, e la canna dei fucili bene in vista mentre controllano i nostri permessi non hanno bisogno di essere spiegati.
Escludendo missili, bombardamenti e droni killer, in Ucraina ci sono almeno altri 245 modi di impugnare un’arma: dalle pistole, alle granate, ai lanciarazzi a spalla fino a uno svariata serie di razzi. I documenti letti da Avvenire confermano la più massiccia e diversificata distribuzione dai tempi della Seconda guerra mondiale. Qualche esempio: 20 tipologie di pistole, 25 di mitragliatori, 33 modelli di fucili d’assalto, 26 varianti di fucili di precisione per i cecchini, 12 diverse marche di lanciagranate, 15 di mine antiuomo e anticarro, 15 diversi sistemi a spalla per il lancio di razzi guidati contro i tank russi. E non è che una parte del campionario.
Se si trattasse di una fiera internazionale, sarebbe una delle più ricche e convincenti esposizioni di settore mai viste. Gli autisti degli autoarticolati commerciali adibiti al trasporto dell’equipaggiamento non sono nuovi a questo genere di spedizioni. «Le operazioni militari dipendono anche da noi», ammette senza esserne troppo contento un camionista slavo che in una stazione di servizio attende ordini per la prosecuzione. Il suo Tir svedese da 770 cavalli, tra i più potenti in circolazione, sembra uno di quei modellini sovrastati dal minaccioso carrarmato che qui tutti vogliono. Un mostro di quasi 10 metri, alto 3 e pesante 40 tonnellate. Per rischiare di finire nel mirino dei missili russi, la paga deve essere buona. Quando gli chiediamo perché il blindato non venga nascosto con dei teloni, il trasportatore si fa misterioso: «Ho le mie teorie, comunque da un anno faccio avanti indietro e quasi mai la merce viene occultata». Forse per mostrare alla popolazione che l’esercito viene rifornito, oppure per disorientare i russi, mostrando una parte dell’arsenale ma nascondendone altro. Di certo c’è che Mosca sa. Impossibile che gli infiltrati russi in Ucraina non vedano. «Forse vogliono proprio che vedano e riferiscano», suggerisce il nostro accompagnatore ucraino. Delle volte i convogli armati si fermano per lunghe ore nei piazzali lungo le autostrade disseminate di checkpoint e autovelox che non perdonano.
«Ci sono molti più russi qui di quante munizioni abbiamo per eliminarli», osserva sconfortato un soldato tornato dalla prima linea per esercitarsi con i nuovi pezzi d’arma. Gli addestratori stranieri, pur passando dalle mostrine di un esercito regolare alle buste paga delle compagnie private, in realtà non hanno cambiato datore di lavoro. Sanno di dover lottare contro il tempo e contro l’infinita varietà di equipaggiamento che moltiplica i problemi. Un ostacolo che però Kiev sta sfruttando per confondere le unità russe, che a loro volta non sanno mai cosa trovarsi dall’altra parte. Occorre imparare e in fretta. Come con l’Iris-T, un modulo di lancio che richiede un terzo del tempo impiegato normalmente per districarsi con i pulsanti dei vecchi Patriot, i missili antimissile americani. Utilizzando immagini radar dal vivo, gli ucraini imparano a scegliere i bersagli e ad abbatterli premendo “fire” dal display tattile. Facile a parole: «Non è come accendere e spegnere un interruttore – spiega l’istruttore –. Ci sono pulsanti con otto sottomenu».
Nelle aree di rifornimento gli automobilisti hanno imparato ad attendere pazientemente il turno per fare il pieno. In una di queste, sulla statale tra Kiev e Leopoli, assistiamo alla consegna di tre Hmmwv di fabbricazione americana. Stavolta il camionista calvo e musone che attende ordini non scende dal mezzo e non c’è verso di farci due chiacchiere. Solo abbassa il finestrino per giustificarsi in un inglese dall’accento teutonico: «È il contratto, non dobbiamo parlare con nessuno». Alza le spalle e rialza i cristalli. La motrice del Tir ha una targa ucraina nuova di zecca, anche se il mezzo ha degli adesivi in tedesco. I tre blindati non hanno insegne che riconducano al mittente. Il colore della vernice per il camouflage è quello dalle tonalità adoperate per le ricognizioni in aree desertiche. Le feritoie in vetro blindato sono annerite da qualche esplosione che ha lasciato il mezzo senza un graffio. La torretta sulla cima, con le paratie protettive su cui verrà montato il mitragliatore, è invece nuova di zecca. Verranno dispiegati anche a Kherson dove l’artiglieria russa, inamovibile dalla sponda sud del Dnipro, martella senza sosta e senza distinzione tra postazioni militari e i civili in coda per il pane.