Riek Machar, a fianco della moglie, Angelina Teny, giura come vicepresidente del Sud Sudan - Reuters
Quanto durerà il nuovo governo di coalizione sudsudanese che si è formato ieri tra il presidente, Salva Kiir, e il leader della ribellione, Riek Machar? Dopo sei anni di conflitto, il livello di scetticismo resta alto. «Questa azione significa che la guerra è finita – ha dichiarato ieri Kiir alla stampa –. La pace è giunta e ci rimarrà». Alle parole del presidente sudsudanese hanno fatto eco i commenti del suo attuale vicepresidente.
«Voglio assicurare il popolo – ha detto ieri Machar – che lavoreremo uniti per concludere questo lungo periodo di sofferenze». Machar, di etnia nuer, ha stretto la mano del suo acerrimo rivale, Kiir, dinka, e ha prestato giuramento. Il leader ribelle ha assunto il ruolo di vicepresidente già due volte negli ultimi dieci anni.
Ieri scadevano i 100 giorni che la comunità internazionale aveva imposto ai due politici per formare ancora una volta un governo di unità nazionale. Il rapporto tra Kiir e Machar resta comunque molto fragile e ha causato indicibili violenze spesso di matrice etnica. Sono almeno «400mila i morti e quasi due milioni gli sfollati interni» causati dal conflitto civile in Sud Sudan, l’ultimo Paese africano ad aver conquistato l’indipendenza nel 2011 dal Sudan.
Secondo le Nazioni Unite, i massacri iniziati nel 2013 hanno provocato un fiume di rifugiati verso i Paesi limitrofi comparabile al periodo dopo il genocidio ruandese del 1994. «Centinaia di migliaia di persone hanno passato gli ultimi anni a fuggire dal Paese – ha sottolineato Filippo Grandi, a capo dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) –. Il nuovo governo ha ravvivato le speranze per un ritorno alla pace in Sud Sudan».
Tra le prime sfide da affrontare ci sarà la formazione di un esercito comune che dovrà integrare i vari gruppi di ribelli che ancora occupano gran parte del territorio. Inoltre il nuovo governo avrà l’arduo compito di gestire le amministrazioni locali, alcune delle quali sono note per avere il sottosuolo ricco di riserve di petrolio.
«Da decenni il conflitto in Sud Sudan è strettamente legato allo sfruttamento dell’oro nero – affermano gli esperti –. Non ci saranno veri progressi nel Paese fino a quando i differenti attori non riusciranno a condividere le proprie risorse petrolifere».