Il sacerdote Gesuita Stan Swamy
Si sono aggravate le condizioni del padre Gesuita Stan Swamy, 84 anni, arrestato, insieme ad altri 15, il 9 ottobre scorso, con l'imputazione di terrorismo e sedizione.
L'ospedale del carcere di Taloja, a Mumbai, dove è ricoverato dallo scorso 28 maggio, dopo che la sua salute ha cominciato a peggiorare in modo drammatico, ha deciso, infatti, di allungare il suo periodo di permanenza nel reparto di terapia intensiva.
Il religioso soffre del morbo di Parkinson ed è risultato positivo al Covid. Padre Swamy è stato imprigionato per aver difeso i diritti della minoranza tribale degli Adivasi, nel Jhakarland indiano, dagli abusi dei latifondisti e delle forze dell’ordine. Insieme ad altri 15 attivisti – intellettuali, accademici, artisti, avvocati – è stato accusato di terrorismo in base alla draconiana “Unlawful activities prevention act”, varata dal governo nazionalista di Narendra Modi nell'agosto 2019.
Il sacerdote vive da mesi in condizioni disumane in una prigione con una capacità di 2100 detenuti che ne contiene 3500.
"È scioccante che le autorità non diano segno di voler terminare il trattamento disumano al quale viene sottoposto. Dovrebbe essere liberato immediatamente cosi da poter morire tra la gente di Jhakarland indiano come ha richiesto", ha dichiarato padre Damian Howard, provinciale dei Gesuiti in Gran Bretagna.
Un altro sacerdote Gesuita, padre Xavier Jeyaraj, responsabile per il settore ecologia e giustizia sociale ha detto che la Società di Gesù "è profondamente preoccupata per il modo in cui la salute di padre Swamy sta deteriorando". "Lancio un appello alle autorità indiane competenti perchè considerino la salute del nostro confratello e di altri prigionieri una priorità e li liberino prima possibile".
Richieste per la liberazione del sacerdote sono cominciate appena è stato arrestato e si sono intensificate mentre la sua salute in prigione peggiorava. Tra chi ha lanciato un appello per la sua liberazione vi è anche l'Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, che ha espresso la sua preoccupazione e incoraggiato le autorità indiane a "liberare chi è stato incriminato per aver difeso diritti umani fondamentali che l'India è obbligata a rispettare".