La polizia neozelandese sul luogo dell'attacco (Ansa)
«Siamo increduli, arrabbiati, rattristati». Barbara Pezzotti ha seguito, minuto per minuto, lo svolgersi dell'attacco alle moschee di Christchurch. La follia del terrore esplosa in questa terra che si credeva al riparo dalla violenza. Docente alla Monash University a Melbourne, incarna nella sua vita la possibilità offerta dell'immigrazione e della mobilità, Pezzotti ha un legame particolare con la Nuova Zelanda: sposata con un neozelandese, vi ha abitato per dodici anni, prima di trasferirsi, due anni fa, in Australia.
Come si reagisce a una notizia così devastante?
Siamo sotto choc. La Nuova Zelanda è l'ultimo dei Paesi in cui ci si poteva aspettare accadesse una tragedia del genere. Parliamo di un Paese pacificato, inclusivo, che ha fatto dell'accoglienza un modello, che vanta un numero di matrimoni interrazziali molto alto, nel quale le comunità straniere sono perfettamente integrate. Nei fatti, un modello di coesistenza, di apertura all'altro.
Lei ha vissuto per dodici anni in Nuova Zelanda. Ha mai intercettato degli umori o delle inquietudini che potessero far presagire un attacco di queste proporzioni?
Assolutamente no. Parliamo di una nazione molto generosa, che pratica una politica di accoglienza altrettanto generosa. Che ha offerto aiuto, che non si è tirata indietro, al riparo da tensioni o conflitti striscianti.
Come sta reagendo la gente dinanzi alla notizia della tragedia?
Sposando in pieno le parole della premier neozelandese, Jacinda Ardern: chi ha colpito, ha voluto colpire l'intera comunità. Non solo una parte, ma il Paese, la sua coscienza, nella sua interezza. Vedo nelle parole del primo ministro neozelandese una prova di grande dignità, di grande maturità. Aggiungo: chi ha seminato morte, ha voluto colpire un modello. Un modello di integrazione.
Da due anni vive in Australia, Paese che sperimentato più volte l'artiglio degli attacchi terroristici.
La sensazione qui è di essere più esposti. Il governo ha creato una politica più dura, più rigida, basti pensare ai campi di detenzioni. Ci sono sicuramente più inquietudini. Ma posso dire che, di certo, la società australiana non è una società razzista.