Sostenitori di Trump in Texas invocano la "deportazione di massa" degli immigrati irregolari - Reuters
«Solleva il muro». Il grido emblema del trumpismo è risuonato spesso a Milwaukee. Martedì e ieri, lo hanno ripetuto – insieme al motto: «Fermare l’invasione» – tanti dell’ala dura del fronte repubblicano, alla senatrice dell’Arizona, Keri Lake, al rappresentante del Texas, Ted Cruz, al governatore della Florida, Ron DeSantis. La retorica migratoria del Gop non è cambiata molto dall’esordio politico del tycoon nel 2015, seppure, negli ultimi mesi, si è ulteriormente indurita con l’idea di «deportazioni di massa» per gli immigrati irregolari. «Se sei arrivato illegalmente grazie a Biden, con Donald Trump tornerai da dove sei venuto», ha tuonato il nazionalista dell’Indiana, Jim Banks. Il giro di vite ostentato e annunciato non impedisce, però, che una parte dell’elettorato ispanico, tradizionalmente democratico, si stia spostando verso il leader conservatore.
Il sondaggio diffuso dal Pew Research center l’11 luglio parla di una sostanziale parità di gradimento nei confronti dei due aspiranti alla Casa Bianca. Già ad aprile, in uno studio ad hoc, l’accreditato istituto di ricerca aveva notato calo dei consensi di Joe Biden fra i votanti “latinos”. Se nel 2020, quest’ultimo aveva stravinto fra gli ispanoamericani, staccando il rivale del 33 per cento, ora il vantaggio si sarebbe ridotto all’8 per cento. Secondo il Siena/Nyt , la differenza tra i due sarebbe del 3 per cento. Uno stravolgimento rispetto al passato recente: nel 2016, solo il 28 per cento aveva scelto il repubblicano, nel 2020 era stato il 38 per cento. Ora la quota appare tra il 40 e il 50 per cento. La causa principale – affermano gli esperti – è la caduta generale della popolarità del presidente. Sempre per il Pew, oltre il 52 per cento dei “latinos” ha un’opinione negativa del capo della Casa Bianca.
Potrebbe trattarsi di una flessione temporanea, sottolineano gli analisti. Un cambiamento, però, c’è anche se non è ancora possibile valutarne l’entità. Una grana non da poco per Biden. Gli ispanici – trentasei milioni di persone, il 15 per cento dei votanti – sono un fattore chiave per l’esito elettorale. In California, in New Mexico e Texas sono oltre un terzo degli aventi diritto, in Arizona e Nevada – dove democratici e repubblicani sono su per giù alla pari – sono il discriminante. È vero che l’astensione è alta in questo segmento di popolazione. Si stima che, però, circa 18 milioni dovrebbero recarsi alle urne il 5 novembre. Non sorprende, dunque, come – pur in modi diversi –, i due candidati cerchino di corteggiarli. Non è facile per nessuno, per ragioni divergenti.
Se le invettive anti-migranti di Trump non sono facili da digerire per i “latinos”, non lo sono nemmeno molte scelte dell’Amministrazione sulla questione. Nonché l’impegno non mantenuto di legalizzare i 12 milioni di irregolari residenti negli Usa, spesso da decenni. Colpa dell’opposizione a oltranza dei repubblicani al Congresso, ripete il presidente. Ed è in buona parte vero. Biden, però, ha conservato, cambiandogli il nome, gli accordi con il Messico per frenare gli arrivi e trattenere i richiedenti asilo fino al pronunciamento del giudice. Per controbilanciare, in campagna cerca di far leva sui buoni risultati economici degli ultimi quattro anni, di cui hanno beneficiato anche molti ispanici che hanno ottenuto quattro dei 13,5 milioni di nuovi impieghi creati. Dati che la campagna democratica non si stanca di ripetere. Sarà sufficiente?