giovedì 28 novembre 2024
Sono 822mila i cinesi che vivono nel Paese del Sol Levante. Una migrazione di intellettuali e uomini d'affari. A spingerli soprattutto "il desiderio di sicurezza e di libertà"
Il tempio Sensoji nel distretto di Asakusa a Tokyo

Il tempio Sensoji nel distretto di Asakusa a Tokyo - ANSA

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Sono migliaia. Sono intellettuali e uomini d’affari. Sono altamente qualificati, istruiti e benestanti. Sono cinesi. E scelgono di riparare in Giappone. Una vera e propria migrazione in crescita costante. Sono 822mila i cinesi che hanno scelto di vivere in Giappone (dati relativi al 2023), in aumento rispetto ai 762.000 dell’anno precedente e ai 649.000 di un decennio fa. Quella cinese è oggi la comunità più numerosa ospitata dal Paese del Sol Levante che accoglie circa tre milioni di stranieri. E i numeri sono destinati a crescere. Se gli stranieri oggi rappresentano circa il 2% della popolazione nipponica (su un totale di 125 milioni di abitanti), si prevede che la loro quota salirà al 12% entro il 2070, secondo le stime del National Institute of Population and Social Security Research. Di fronte all’invecchiamento della popolazione, e alla mancanza cronica di manodopera, Tokyo vuole cambiare in profondità la sua “timida” politica di accoglienza, puntando su ingressi altamente “qualificati”. La riprova? Il numero di cittadini cinesi entrati in Giappone con visti da manager aziendale ha superato quota 2mila lo scorso anno. Un record.

Ma perché sono sempre più numerosi i cinesi che scelgono di “fuggire” dal proprio Paese? Se l’immigrazione è da sempre una “valvola” che serve ad allentare la pressione sociale provocata dalla disoccupazione, la migrazione verso il Giappone sembra essere spinta da motivazioni diverse.

Sun Lijun, ingegnere di semiconduttori, 42 anni, ha lanciato il dado nel 2021: con moglie e due figli ha lasciato la Cina per stabilirsi a Okinawa. Il mix di motivi che lo ha spinto a trasferirsi in Giappone con un visto di gestione aziendale? "Il desiderio di ricominciare e di condurre un altro stile di vita", ha raccontato. A muoverlo, ha spiegato, una serie di preoccupazioni. In cima alla lista delle “ansie”, la qualità dell'aria e della vita in Cina, l'istruzione per i figli, la parabola economica cinese, ormai orfana della forza propulsiva degli ultimi decenni. "Dopo essere emigrato in Giappone, la mia qualità di vita e la felicità generale della mia famiglia sono aumentate in modo significativo", ha detto Sun.
Come scrive l’Ap, “mentre la diaspora intellettuale sceglie Tokyo per gli spazi di libertà garantiti da una democrazia rispetto al regime sempre più repressivo del leader cinese Xi Jinping, per altri, come ricchi investitori e uomini d'affari, il Giappone offre qualcos'altro: la protezione della proprietà. "La tutela della proprietà privata, che è la pietra angolare di una società capitalista, è quel tassello che manca in Cina", ha spiegato Q. Edward Wang, professore di studi asiatici alla Rowan University di Glassboro, nel New Jersey.

Tra i nuovi residenti c’è un ex giornalista di Pechino, trasferitosi in Giappone lo scorso anno. Tre sono le motivazioni che lo hanno indotto a voltare pagina (e vita). "Una è l'istruzione e l'assistenza medica per i figli", ha spiegato. C'è un enorme divario “nelle opportunità educative tra le classi sociali cinesi e per molte famiglie della classe media. L'emigrazione o far frequentare ai propri figli una scuola internazionale in Cina sono le opzioni migliori”. "L'altra motivazione è la sicurezza a lungo termine dei beni della tua famiglia", ha aggiunto. "E per le persone che lavorano nei settori della cultura e dei media, c'è un'altra richiesta: la libertà di pensiero e di parola".

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