Pazienti Covid al Royal London Hospital di Londra. Il 60% dei ricoverati non sono vaccinati - Ansa
La parola d’ordine è cautela. Per il settimo giorno consecutivo, ieri, il Regno Unito ha registrato un drastico calo dei contagi da coronavirus: 23.511 nelle ultime 24 ore, contro i 46.558 di martedì scorso. È tuttavia ancora troppo presto per tirare un respiro di sollievo e brindare alla fine della pandemia. Soprattutto se, come certificano le rilevazioni, continuano invece a crescere ricoveri e in particolare i morti che, dai 16 di lunedì, ieri sono schizzati a 131, il numero più alto da marzo.
Che sta succedendo? L’Europa guarda con attenzione all’evoluzione della pandemia Oltremanica perché l’azzardo del premier Boris Johnson, che ha confermato la sospensione dell’obbligo legale di distanziamento e mascherine dal 19 luglio, nel pieno dell’esplosione virale della variante Delta, viene considerato come un test di convivenza con il Covid-19. Il crollo dei contagi ha sorpreso persino Neil Ferguson, l’epidemiologo dell’Imperial College che, critico sul «liberi tutti » del governo, la scorsa settimana aveva previsto 100mila contagi al giorno (se non di più) per agosto.
l «liberi tutti» di Johnson viene visto come un test di convivenza con il Covid C’è un cauto ottimismo Ma gli ospedali denunciano pressione come nei giorni più duri
Per effetto dei vaccini, ha spiegato ieri alla Bbc, «l’equazione è cambiata». «Sono ottimista. Tra settembre e ottobre – ha aggiunto – ci saremo lasciati alle spalle gran parte della pandemia». Ad oggi, l’88,2% degli adulti britannici ha ricevuto la prima dose di vaccino; il 70,8% anche la seconda. Oltre ai vaccini, sulla riduzione delle infezioni potrebbero aver inciso anche altri fattori.
Per esempio, la chiusura delle scuole per la pausa estiva, la fine degli Europei di calcio 2020, il tracciamento rigoroso che costringendo quasi due milioni di persone alla quarantena ha paralizzato il lavoro di fabbriche, negozi, ospedali, servizi di sicurezza e trasporti. Secondo Graham Medley, esperto di epidemiologia statistica alla London School of Hygiene and Tropical Medicine, i dati non hanno registrato ancora l’impatto dell’allentamento delle restrizioni del 19 luglio che diventerà numericamente evidente solo a partire dal 2 agosto. «Nei prossimi due mesi – ha spiegato – potremmo sperimentare una serie continua di picchi e ricadute. Non stiamo scalando una sola montagna».
Al momento, continua invece a crescere la curva delle ospedalizzazioni e dei morti che, in particolare a Londra e nella parte orientale dell’Inghilterra, sono tornate a mettere a dura prova la tenuta del sistema sanitario nazionale (Nhs). Una lettera inviata al governo dalle strutture che forniscono servizi all’Nhs ha segnalato un livello generale di pressione simile a quello registrato a gennaio, al culmine della pandemia.
Negli ultimi sette giorni, i ricoveri sono aumentati del 25%, i decessi del 40,4%. Il trend di queste due voci, inverso a quello dei contagi, dipende dal fatto che, come sottolineato dai consulenti scientifici di Downing Street, il 60% dei nuovi ricoveri riguarda persone non vaccinate (o immunizzate solo in parte). Chiamato a commentare il record di morti di ieri, Yvonne Doyle, direttore dell’agenzia Public Health England, ha spiegato che «ciò è in parte dovuto all’alto numero di casi registrati nelle ultime settimane ». «Siamo ancora nella terza ondata – ha avvertito – e ognuno deve continuare a fare la propria parte» per spezzare la catena che lega i contagi alle morti.
Appello rilanciato anche da Johnson che ha invitato a non arrivare a «conclusioni premature» sulla fine della pandemia. Gli esperti invitano comunque a guardare con ottimismo allo scenario epidemiologico britannico spiegando, per esempio, che è normale che il Covid-19 venga riscontrato, in proporzione relativa, anche tra i vaccinati perché le persone che hanno ricevuto entrambe le dosi sono diventate il gruppo statisticamente dominante. È così, ci si chiede, che finisce una pandemia?