lunedì 21 febbraio 2022
Da quando, 5 mesi fa, il Paese è stato il primo al mondo a darle corso legale, la valuta digitale è crollata, con perdite milionarie. Ma il presidente non cede e annuncia l’emissione di cripto-titoli
Proteste in Salvador contro il decisione di rendere il Bitcoin divisa corrente obbligatoria

Proteste in Salvador contro il decisione di rendere il Bitcoin divisa corrente obbligatoria - Ansa

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Ni un paso atrás, non un passo indietro. El Salvador è e resta “Bitcoinlandia”. Né il monito del Fondo monetario internazionale (Fmi) né il declassamento da parte delle principali istituzioni finanziarie mondiali hanno scalfito la granitica determinazione del presidente Nayib Bukele. Il leader millennial, eletto nel 2019 a 38 anni, lo ha ribadito senza mezzi termini: «Non si può combattere contro il futuro».

E il ministro dell’Economia, Alejandro Zelaya, ha annunciato, per il mese prossimo, l’emissione di titoli di Stato in criptomoneta per l’ammontare di un miliardo di dollari. Sono trascorsi quasi cinque mesi dal 7 settembre scorso quando il più piccolo Paese latinoamericano, primo e unico del pianeta, ha adottato il Bitcoin come divisa corrente, insieme al dollaro.

Ogni istanza privata e pubblica, cioè, è obbligata ad accettare questa forma di pagamento e i possessori di criptovaluta possono convertirla in ogni momento in biglietti verdi e viceversa. Nel frattempo, la divisa digitale ha visto il suo valore impennare e poi precipitare, fino a dimezzarsi. Al momento dell’entrata in circolazione si aggirava intorno ai 46mila dollari. A novembre sfiorava i 70mila. Ora è 37mila. Il giro sulle montagne russe è costato al governo almeno 22 milioni di dollari.

Un dato non ufficiale – la trasparenza non è tra le principali doti del giovane leader – bensì desunto dai tweet presidenziali con i quali, ogni volta, Bukele ha annunciato con enfasi l’acquisto di valuta digitale, per un totale di circa 1.400. Impossibile, invece, quantificare le perdite per i cittadini. La piattaforma ufficiale “Chivo wallet”, impiegata per le transazioni, è privata seppur finanziata con fondi pubblici. Non ha, dunque, l’obbligo di rendicontare. E finora non l’ha fatto. Le poche informazioni fornite, oltretutto, risultano dubbie. Chivo wallet sostiene, ad esempio, di avere oltre tre milioni di utenti su un totale di 6,5 milioni di abitanti, poco più della metà dei quali, però, non ha accesso a Internet e il 40 per cento ha uno smarphone. Il danno, in ogni caso, si profila ingente.

Con oltre un quarto di popolazione in povertà, quasi la metà a rischio di finirci e il 43 per cento della manodopera in nero, la gente ha ben poche risorse per difendersi dalle oscillazioni finanziarie. L’appello di Bukele a concentrarsi «sui guadagni di lungo periodo» suona, dunque, alquanto surreale, come dimostrano le cicliche proteste con tanto di rogo di uno dei 201 erogatori azzurri di criptovalute sparsi nelle principali piazze del Paese. Oltretutto, i futuri profitti sono tutt’altro che certi. A sostenerlo è sempre il Fmi che, dopo aver parlato di rischio «per la stabilità e integrità finanziaria della nazione» e «per la tutela del consumatore», ha minacciato di bloccare il finanziamento da 1,3 miliardi di dollari a causa «delle prospettive poco chiare». Già nel 2020, il debito pubblico salvadoregno pesava sul Pil per l’89 per cento.

L’anno successivo, i suoi buoni hanno registrato il peggior rendimento del mondo, con perdite di circa il 30 per cento. Ora l’emissione di “criptotitoli” potrebbe far precipitare la situazione. L’ipotesi default è più concreta, dunque, rispetto a giugno quando, con un dibattito lampo di cinque ore, il partito del presidente – che controlla il Parlamento – ha fatto approvare la “Legge Bitcoin” con un triplice obiettivo. Primo, rendere il Paese – dollarizzato di fatto dall’inizio del millennio – meno dipendente dal biglietto verde e trasformarlo nel nuovo epicentro dell’estrazione.

A differenza dell’attuale cripto-paradiso, il Kazakistan, però, El Salvador non dispone di giacimenti di petrolio, carbone e gas con cui alimentare i potenti pc in rete che “minano” i Bitcoin, cioè li creano elaborando sofisticati algoritmi a ciclo continuano. Anzi, la rete elettrica non raggiunge nemmeno l’intera popolazione.

Un problema che Bukele intende risolvere con il ricorso all’energia geotermica dei vulcani. Per questo, però, occorrono investimenti stranieri e attrarli è il secondo proposito con cui il presidente ha giustificato la «criptorivoluzione». Il terzo è incrementare le rimesse – che già rappresentano un quarto del Pil – grazie alla rimozione delle commissioni per chi le invia attraverso Cripto wallet. Finora, però, non ci sono indizi che il Paese si stia avvicinando alla triplice meta. Anzi, gli analisti internazionali parlano di «disastro». Allora perché la marcia della criptovaluta procede inarrestabile? Ci sono ragioni occulte dietro il “piano BB” alias Bukele e Bitcoin?

I nomi legati alla “rivoluzione B” suscitano perplessità. A cominciare da Max Keiser, molto vicino al presidente: un ex agente di borsa di New York trasformato in star della tv statale russa e guru della Rete. Bitfinex, l’impresa incaricata di emettere i titoli in Bitcoin – come racconta Nelson Rauda Zablah, giornalista economico del prestigioso El Faro –, con sede in Kazakhistan, è stata bandita da Wall Street nel 2021 dopo l’hackeraggio della piattaforma, in cui gli utenti hanno perso 72 milioni di dollari. E, insieme alla consociata Tether, ha dovuto sborsare una multa da 42 milioni per poca trasparenza.

La compagnia, inoltre, è parte del gruppo Ifinex Inc, domiciliato alle Isole Vergini britanniche, sotto inchiesta da parte della Procura di New York con l’accusa di aver fornito informazioni finanziarie inesatte. Molti analisti vedono, dunque, nella “bitcoinizzazione” del sistema economico un modo per trasformare il Paese in un hub internazionale del riciclaggio per la criminalità organizzata.

Non solo quella locale – le cosiddette maras – mafie dei poveri, che vivono taglieggiando gli abitanti delle baraccopoli e facendo il lavoro più sporco – e violento – per i grandi boss della droga messicani.

La pandemia ha già costretto questi ultimi a incrementare i traffici via Web per eludere i blocchi alla circolazione reale. Per i narcos, le criptomonete potrebbero rappresentare un’opportunità di ampliare il business. E per Bukele di riempire le casse dello Stato a dispetto dell’isolamento internazionale – soprattutto da parte degli Usa – a causa del suo crescente autoritarismo, dopo l’intervento sulla Corte Suprema e la scoperta del sistematico spionaggio di giornalisti e attivisti attraverso Pegasus. Bukele, dunque, non arretra. Bensì rilancia. A breve, giura, inizieranno i lavori di Bitcoin-City. La prima città finanziata con la criptovaluta e zona franca sorgerà alle pendici del vulcano Conchagua da cui trarrà la corrente per l’“estrazione”. A meno che l’energia a lungo compressa non esploda, travolgendo l’intero Paese.

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