sabato 2 settembre 2023
L'ondata di panico ha spinto i cinesi a fare incetta di sale. Che è sparito dagli scaffali dei supermercati. Pechino ha già bloccato le importazioni di prodotti ittici, Tokyo protesta
In fila a Daoxian, nello Hunan, per comprare sale

In fila a Daoxian, nello Hunan, per comprare sale - Reuters

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Primo fotogramma. Scaffali vuoti in un supermercato cinese. Il sale da cucina letteralmente sparito, introvabile. Il motivo? È andato a ruba. Secondo fotogramma. Il premier giapponese Fumio Kishida mangia (con gusto) le specialità ittiche pescate al largo della prefettura di Fukushima, dal branzino, alla sogliola e il polpo in stile sashimi, assicurando che si tratta di “pesce sicuro e gustoso”. La nuova “guerra dei nervi “scoppiata tra Cina e Giappone, sullo sfondo di una rivalità annosa e mai risolta, passa attraverso la cucina. A scatenarla la decisione di Tokyo di procedere con lo sversamento in mare dell'acqua di raffreddamento degli impianti della centrale nucleare di Fukushima lo scorso 24 agosto. Una mossa accolta con rabbia da Pechino. Da allora è stato un crescendo di tensioni, minacce e accuse reciproche. La Cina - uno dei maggiori importatori di prodotti ittici al mondo – ha deciso di vietare le importazioni ittiche dal Giappone. Allo stesso tempo, i consumatori cinesi hanno iniziato a boicottare anche altri prodotti made in Japan, dalle creme per il viso ai prodotti di uso domestico. Tutto questo mentre il sale da cucina spariva, comprato in massa per paura che non fosse più reperibile da alcuni, per le sue “proprietà” anti-radiazioni per altri (proprietà peraltro smentite dall’organismo di vigilanza sulla sicurezza alimentare di Hong Kong, dove pure è partita la corsa al sale). Un’onda di panico abilmente cavalcata da Pechino? Ne è convinto Yasuhiro Matsuda, professore di politiche internazionali all'Università di Tokio che, in una intervista al Washington Post, ha sostenuto che “il Giappone è per la Cina un "capro espiatorio" estremamente utile a distrarre i cinesi dalla crisi interna”. Tokyo rappresenta meno del 4% delle importazioni cinesi di prodotti ittici.
Ma non basta. Nei giorni scorsi sul sito web dell'ambasciata cinese a Tokyo è comparsa una nota nella quale si affermava che “il rilascio di acqua dall'impianto Tepco della Tokyo Electric Power Company Holdings nell'Oceano Pacifico potrebbe causare danni inaspettati all'ambiente marino e agli esseri umani”. E mentre il premier giapponese Kishida ha assicurato che presenterà un piano di sostegno per le associazioni di pescatori penalizzati dal bando, dopo aver già approvato due fondi separati, uno di 30 miliardi di yen (188 milioni di euro), e l'altro di 50 miliardi di yen, per sopperire al danno di immagine dell'industria ittica locale, Tokyo ha rilanciato, sostenendo che “il monitoraggio dell'acqua da parte del governo giapponese e della Tepco è conforme agli standard dell'Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica”.
Il braccio di ferro tra Cina e Giappone sul settore ittico cade in un clima già arroventato, reso ancora più incandescente dalla polarizzazione provocata dalla guerra in Ucraina da un lato, dal “dossier Taiwan” dall’altro. Con l’inquietante risultato di accelerare la folle corsa al riarmo. Il ministero della Difesa giapponese punta ad un aumento delle spese militari del 13 per cento per il 2024, aggiungendo quasi un trilione di yen al budget dell'anno precedente (6,8 trilioni di yen). Una cifra record che si inserisce nel piano del governo nipponico, annunciato lo scorso anno. L’obiettivo? Raddoppiare la spesa per la difesa, portandola al 2% del Pil entro il 2027.
E l’ambiente? I pericoli per la salute? Il South China Morning Post, quotidiano di Hong Kong, prova disinnescare le paure cinesi. “Le centrali nucleari di tutto il mondo scaricano regolarmente acqua contenente trizio da oltre 60 anni senza danni alle persone o all’ambiente. Ciò include la maggior parte dei 55 impianti nucleari operativi lungo la costa cinese e gli oltre 400 impianti nucleari attualmente operativi in tutto il mondo”. E tuttavia, sottolinea il quotidiano, non per questo le acque degli oceani godono di buona salute. Uno studio del National Geographic pubblicato nel 2019 ha rilevato che fino al 1972 gli oceani erano letteralmente discariche di rifiuti: “Milioni di tonnellate di metalli pesanti e contaminanti chimici, insieme a migliaia di contenitori di rifiuti radioattivi, venivano gettati di proposito nell’oceano”.

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