Il Santuario di Nostra Signora di Kibeho in Rwanda
Sono ben 8mila le chiese chiuse in Ruanda da inizio anno in seguito ad una direttiva del governo. La decisione di ridurre il numero dei luoghi di culto, sia cristiani sia musulmani nel Paese, prevede la chiusura delle chiese e delle moschee che non abbiano i sufficienti requisisti di igiene e di sicurezza per continuare ad esercitare le proprie attività. È quanto riporta l'agenzia pro-governativa Kigali Today Press.
Però non sembra che le cose stiano esattamente così. L'accusa che viene rivolta dai cristiani (cattolici e protestanti) ruandesi, che contano il 90% della popolazione, è che il governo utilizzi la nuova legge per giustificare la chiusura di chiese e moschee, come riporta l'agenzia Fides.
La libertà religiosa è inserita come un diritto dalla Costituzione ruandese all'articolo 37 del 2003 ma, secondo quanto denunciato da World Monitor Watch, qualsiasi riferimento alla religione cristiana è stato eliminato dal preambolo della Costituzione. Inoltre durante le commemorazioni del genocidio nessun prete o pastore può intervenire (a meno che l'evento sia organizzato da una chiesa) e negli uffici pubblici non sono permessi incontri per raccogliersi in preghiera.
Secondo fonti governative, le autorità hanno deciso di chiudere i luoghi di culto in seguito alla costruzione di troppe chiese per numero di abitanti, senza però calcolare l'alta frammentazione dei villaggi in Ruanda che sono popolati da un numero esiguo di persone. Molto spesso, questi villaggi distano molti chilometri l'uno dall'altro e, per l'assenza di infrastrutture che collegano i centri abitati, ogni paese costruisce una propria chiesa per evitare che i cittadini debbano fare 20 o più chilometri a piedi per andare a messa.
Ultimamente una chiesa è stata chiusa addirittura durante un matrimonio, denuncia il portale cristiano World Monitor Watch, e gli ospiti sono stati invitati ad abbandonare la cerimonia in corso. Una comunità cristiana si è vista proibire lo svolgimento delle funzioni in un atrio della scuola, scelta per la mancanza di chiese nelle vicinanze, poiché aveva la porta d'ingresso in legno e non in metallo.