
La desolazione nella città di Sudzha, recentemente riconquistata dalle forze armate russe nella regione del Kursk - Reuters
Una ritirata volontaria, funestata da una pioggia di droni. I soldati ucraini stanno lasciando la regione di Kursk nelle condizioni peggiori possibili, come se la Russia volesse dare loro l’ultima lezione, quella definitiva. Alcuni militari, raggiunti da media stranieri, hanno parlato di «scene da film dell’orrore». Le colonne di quelli che sono rimasti si incamminano di notte, perché le probabilità di essere colpiti dal fuoco di Mosca sono inferiori. Ma non pari allo zero. Blogger militari russi hanno diffuso foto di equipaggiamenti distrutti o finiti in mano ai russi. Se non è accerchiato, insomma, quel che resta dell’esercito ucraino nella regione di Kursk sta retrocedendo per non essere completamente eliminato.
La strada che da Sudzha, in Russia, porta a Sumy, dal 9 marzo, è sotto il controllo delle armate del Cremlino, particolare che rende la ritirata ancora più difficile. Difficilmente sarebbe potuta andare in modo diverso. Da mesi, la Russia aveva stanziato nella zona ben 70mila soldati, a cui si devono aggiungere i 12mila nord coreani, “dono” di Kim Jong-Un all’alleato russo. Gli ucraini, per quanto fossero fra quelli più addestrati e con materiale bellico occidentale, erano appena 12mila. Da agosto, ossia da quando l’esercito di Kiev è penetrato nel territorio nemico, per il presidente, Vladimir Putin, riprenderselo è diventata più di un’ossessione, un po’ per orgoglio, un po’ per non lasciare nelle mani degli ucraini nessun tipo di arma in fase negoziale.
Il presidente americano, Donald Trump, ha chiesto all’omologo Putin, di risparmiare i militari che si stanno ritirando. Più che l’umanità, qui c’è un motivo di opportunità. Gli Stati Uniti vogliono chiudere il conflitto al più presto e, per motivi diversi, conviene anche a Russia e Ucraina. Il ritiro dalla regione del Kursk, dunque, potrebbe essere interpretato come un gesto per facilitare questo processo. E tutti potrebbero tornare a casa da vincitori. Donald Trump potrebbe vantarsi di aver risolto, in un tempo ragionevolmente breve, un conflitto che durava da tre anni e potrebbe concentrarsi sul capitolo mediorientale e soprattutto sul capitolo cinese, che rappresenta la sua priorità in politica estera. Il presidente Putin ne uscirebbe come il vincitore assoluto, ma solo fino a un certo punto. Non possiamo ancora sapere se, a fronte della ritirata ucraina dal Kursk, sarà costretto a restituire una parte dei territori occupati a Kiev o a fare altre concessioni. Di sicuro però potrà comunicare nel suo Paese che l’operazione militare speciale come chiamano la guerra in Russia, si è risolta in un trionfo. Anche senza il risultato finale, va sottolineato che il suo gradimento presso il popolo è più elevato che mai. Gli ultimi sondaggi sono di febbraio e parlano di 9 persone su 10 che approvano le scelte dello zar. Gli servirà, quando il Paese avrà un pesante contraccolpo economico al termine di un conflitto che è costato molto, sotto più punti di vista.
In tutto questo, è aumentato il gradimento anche per il presidente Zelensky: non era mai sceso sotto il 56%, ma l’ultima rilevazione lo attesta al 75% delle preferenze degli ucraini. Un balzo di 10 punti percentuali dall’ultimo sondaggio, svolto appena due settimane prima. A impressionare positivamente l’elettorato, è stata la reazione di Zelensky durante l’incontro alla Casa Bianca, quando si è rifiutato di firmare l’accordo sulle terre rare. Segno che il popolo ucraino è pronto a fare concessioni, ma non svendere se stesso e le sue ricchezze. Forse anche la ritirata dal Kursk, da atto di resa, è stata letta per ciò che può diventare: una leva per il negoziato.