Condoleezza Rice - Ansa
Ea nel bunker sotterraneo della Casa Bianca e non si sentiva al sicuro. L’11 settembre 2001 Condoleezza Rice era terrorizzata. Come tutti quelli che la circondavano in una stanza che ricorda come antiquata, male attrezzata e soffocante. L’allora consigliera per la Sicurezza nazionale di George W. Bush, più tardi sua segretaria di Stato, oggi insegna a Stanford e dirige il think tank conservatore Hoover Institution. Dice di non avere interesse a tornare a Washington, evita di parlare male di Donald Trump o di criticare Joe Biden, ma non ha dubbi che la guerra che ha contribuito a lanciare vent’anni fa in Afghanistan sarebbe dovuta finire in un altro modo.
Dov’era quando l’attacco cominciò?
Ero alla mia scrivania alla Casa Bianca quando la mia assistente mi avvisò che un aereo aveva colpito il World Trade Center. Chiamai subito il presidente, che era in Florida, ma non lo allarmai: sembrava un incidente. Quando il secondo aereo colpì, tutto cambiò. Fu chiaro che era un attacco terroristico. Ma fu quando il Pentagono, l’edificio più protetto al mondo, venne colpito, che tutte le mie certezza crollarono: pensai che era un attacco totale, in tutta Washington, che non c’era più alcun luogo sicuro.
Che cosa ricorda di quelle ore?
Qualcuno del servizio segreto entrò e mi disse che dovevo scendere nel bunker. Di fatto mi ci spinsero di peso. Mentre correvo il mio solo pensiero era: manda un messaggio al mondo che gli Stati Uniti non sono stati decapitati e che non si stanno sfaldando. Volevo assicurarmi che non ci fosse un’ondata di panico. Da quel momento in poi, e non solo per una giornata, cominciò una processione di scelte difficili. Non avevamo ancora una struttura per la sicurezza interna, avanzavamo alla cieca, senza bussola.
Sì, perché non avevamo idea di cosa sarebbe successo. Fu uno choc scoprirci così vulnerabili. Sebbene sapessimo molto di al-Qaeda, non avevamo potuto prevedere il modo in cui ci hanno colpito. Ogni aereo era diventato potenzialmente un missile.
Credo intellettualmente che abbiamo fatto tutto il possibile, ma c’è sempre una parte di me che mi dice che forse avremmo potuto fare di più. Di certo da quel giorno la sicurezza dell’America non è stata la stessa.
Mentre mi portavano nel bunker della Casa Bianca ho pensato «manda un messaggio al mondo che gli Usa non sono stati decapitati e non si stanno sfaldando» Poi ho chiamato Putin perché non scatenasse l’allerta totale
Quale è stato il momento più difficile?
E il momento di maggior conforto?
Che cosa fece per mantenere la calma?
L’affermazione che Bush fece quella sera che chi dà rifugio a un terrorista verrà considerato un nemico degli Stati Uniti ha dato il via libera alla guerra in Afghanistan che si è appena conclusa. Come la giudica?