venerdì 19 luglio 2024
Angelica Edna Calò, fondatrice del Teatro dell'Arcobaleno che mette insieme ebrei, arabi e drusi, è rimasta nel kibbutz evacuato. In casa ha ancora le scenografie dell’ultimo spettacolo
In scena i ragazzi di Beresheet alShalom, il Teatro dell’Arcobaleno

In scena i ragazzi di Beresheet alShalom, il Teatro dell’Arcobaleno - Calò Livnè

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Dalla stanza blindata di casa sua a un chilometro e duecento metri dal confine con il Libano da dove piovono i razzi di Hezbollah, Angelica Edna Calò Livnè parla di pace. Finestre sprangate, zero luce naturale in una mattina d’estate, ammette di essersi sbagliata quando, sette anni fa, ha insistito con il kibbutz di Sasa, dove tutto viene messo in comune, per costruire la sua casa in faccia al confine perché «ormai siamo in pace con il Libano».

Sono rimasti in 30, nel kibbutz. Erano 450. Gli altri sono sfollati sul lago di Tiberiade, a una cinquantina di chilometri. Evacuati anche i residenti dei villaggi vicini: drusi e arabi cristiani o musulmani. L’Alta Galilea, la zona più settentrionale di Israele vicina ai confini libanese e siriano, è un mosaico di religioni e culture. «Ogni mattina settanta persone vengono qui a lavorare, ebrei e arabi. Nella grande cucina preparano i pasti per gli sfollati. Cesare è lo chef. La vice è Amira, musulmana. La pasticceria è Maria, araba cristiana. Siamo uniti, così». E intreccia le dita delle mani. Nel frutteto sono caduti frammenti di missili. A pochi chilometri di distanza ci sono due basi militari, nel mirino dei miliziani sciiti. «Hanno colpito il teatro dove insegno, accanto alla scuola». Ora è vuoto, ma fino al 7 ottobre vi recitava Beresheet alShalom, il Teatro dell’Arcobaleno. Mettendo insieme ragazzi ebrei, cristiani, musulmani e drusi, per vent’anni ha portato il suo messaggio di pace in tutta Israele e all’estero.

«I figli vorrebbero che andassi a Tel Aviv. Ma qui è casa mia, che posso farci?». In un angolo dell’abitazione ci sono i costumi e le scenografie dell’ultimo spettacolo, che ha debuttato il 29 settembre 2023 al Festival di Tel Aviv e che da ottobre sarebbe dovuto partire in tournée. «Tutti evacuati. Ho qui un sacco di scope». S’intitolava Le streghe la pièce scritta dai giovani attori sotto la guida di Angelica, che ha studiato al Collegio rabbinico di Roma, ha un dottorato in Teatro e pedagogia, tiene corsi all’Università della Galilea e ha pubblicato cinque libri. «Il protagonista di Le streghe – racconta – è il figlio di una strega che s’innamora di una ragazza normale. Praticamente, il rapporto tra ebrei e arabi, religiosi e laici». Incontrarsi tra diversi, e provare a piacersi. «Se hai un’identità forte – è convinta – non hai bisogno di annullare l’identità dell’altro. Poi gli estremisti ci sono dappertutto. I miei quattro figli maschi hanno gli stessi valori di fondo, ma sono diversi. Se accade tra fratelli, come possono non essere diverse persone cresciute in culture distanti?».

Uno spettacolo messo in scena da Beresheet alShalom, il Teatro dell’Arcobaleno

Uno spettacolo messo in scena da Beresheet alShalom, il Teatro dell’Arcobaleno - Calò Livnè

Il Teatro dell’Arcobaleno comunica attraverso le emozioni: musica, gioco, coreografie, costumi. «Facciamo teatro danza, dove la parola è assente o ridotta a voce fuori campo o cartelloni: poche frasi in ebraico e in arabo, eventualmente tradotte in inglese o in italiano a seconda di dove andiamo in scena». «Nei miei corsi universitari incontro ragazze molto religiose. Quando dico che ho una compagnia di ebrei e arabi, sgranano gli occhi. Nella prima lezione chiedo a ciascuna di raccontare l’origine del proprio nome e di portare un oggetto che rappresenti i suoi valori. Alla fine, ci accorgiamo che abbiamo più cose in comune di quanto pensassimo ». Per settembre, il Festival di Tel Aviv le ha chiesto di preparare Monologhi degli evacuati con i ragazzi protagonisti delle Streghe. «Ciascuno dovrà cominciare mostrando l’oggetto più importante che gli ricorda casa».

«La nostra Galilea non è Gaza – riflette Angelica –. Qui viviamo insieme. Nell’ospedale dove ho partorito i miei figli il 70% di medici e infermieri è arabo. Dopo il 7 ottobre siamo ancora tutti traumatizzati in Israele, e non so quando ci riprenderemo. Ma se non credessi che qui continueremo a vivere insieme, so che morirei».

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