Il cardinale Pietro Parolin - Siciliani
Il cardinale Pietro Parolin arriva oggi in Ucraina. Una missione che ha una dimensione spirituale, ma anche un profilo politico. Il segretario di Stato vaticano è stato invitato dai vescovi latini per la celebrazione conclusiva del pellegrinaggio nel santuario mariano di Berdychiv. E papa Francesco lo ha nominato suo legato pontificio. Ma questa occasione è diventata l’opportunità di acconsentire alla ripetuta richiesta ucraina di poter ricevere la visita di un’alta autorità vaticana. A dire il vero il desiderio di Kiev era notoriamente quello di poter ospitare una visita del Papa. Ma Francesco ha sempre detto che si sarebbe recato in Ucraina solo se avesse avuto l’opportunità di visitare anche la Russia. Ma da Mosca l’invito non è mai arrivato, così adesso è il suo più stretto collaboratore a varcare il confine ucraino. Domenica è fissato l’evento religioso, con migliaia di fedeli che negli ultimi due anni si sono radunati per invocare la pace. Sabato e lunedì sono invece previsti gli appuntamenti “politici”. Un programma definitivo non è stato ancora pubblicato, ma da Kiev sarebbe arrivate assicurazioni che Parolin avrà modo di incontrare anche il presidente Volodymyr Zelensky magari insieme al suo “braccio destro” Andriy Yermak. In agenda anche incontri con il premier e con il presidente del Parlamento. E il programma prevede anche una tappa in una città particolarmente colpita dai bombardamenti russi.
Il viaggio di Parolin si inserisce nel solco delle iniziative intraprese dalla Santa Sede per offrire occasioni e strumenti per arrivare alla pace. Perché l’unico interesse che ha è quello che la guerra abbia fine. Una posizione a volte difficile da mantenere, in un mondo drammaticamente polarizzato come quello di oggi, da cui Roma non vuole abdicare.
La Santa Sede è perfettamente cosciente che nella guerra in atto c’è un aggressore, la Russia, e un aggredito, l’Ucraina. Ma nel solco di una tradizione secolare cerca sempre di porsi come un terreno neutro nel quali le parti possano ritrovarsi. Anche a costo di incomprensioni, come avvenne con Benedetto XIV durante la prima guerra mondiale e come accade oggi con papa Francesco. Come è noto fin dall’inizio il Papa ha messo a disposizione la Santa Sede per un’opera di mediazione. Questa offerta però, accettata – non si sa quanto convintamente – dalla Russia, è stata fermamente respinta dall’Ucraina. Allora l’impegno vaticano si è concentrato sugli aspetti umanitari. In particolare nella questione del ritorno in patria dei bambini deportati, che vede impegnato anche il Qatar. A seguito della missione del cardinale Matteo Zuppi si è stabilito un protocollo che ha dato dei buoni frutti, compreso un incontro tra i due ombudsman per i diritti dei minori, uno dei rarissimi casi di contatti diretti tra le parti. Il meccanismo individuato prevede in buona sostanza che le autorità ucraine forniscano gli elenchi dei bimbi alla nunziatura di Kiev che a sua volta li trasmette a quella di Mosca che li gira alle autorità locali. Più informale, ma non meno importante, l’impegno per lo scambio di prigionieri di guerra, che vede il coinvolgimento diretto del Papa (è a lui che gli ucraini fanno arrivare le liste che poi tramite segreteria di Stato vengono consegnata all’ambasciata russa presso la Santa Sede). Il Vaticano è rimasto particolarmente soddisfatto della liberazione dei due sacerdoti redentoristi ucraini di cui si erano perse le tracce. C’era chi temeva fossero stati uccisi. Invece sono potuti tornare a casa, anche se in condizioni deplorevoli, nonostante le garanzie di un trattamento secondo gli standard delle convenzioni internazionali. Attualmente la diplomazia vaticana è impegnata anche per fare in modo che ai prigionieri possano arrivare gli oggetti religiosi – come le Bibbie - di cui hanno fatto richiesta ma senza successo.
La visita di Parolin in Ucraina arriva dopo quella che è stata considerata un’apertura di Zelensky ad una presenza russa in una prossima conferenza di pace. Ma questa di per sé non è una novità. La road map di pace formulata a Kiev prevedeva questo. Comunque il fatto che la Russia non abbia detto di no a tale possibilità ha acceso la speranza che questa nuova conferenza possa portare qualche frutto positivo. In questo contesto la Santa Sede è sempre disponibile a mettere in gioco i propri “buoni uffici” e ad avere un ruolo di “facilitazione”. Con l’obiettivo di riuscire finalmente a far sì che le due parti si parlino ad un certo livello, per cominciare a mettere sul tavolo le rispettive posizioni e da lì tentare di partire per un dialogo che arrivi ad un avvicinamento dei punti di vista. Già questo sarebbe un passo in avanti fondamentale. Certamente la Santa Sede è cosciente che il viaggio di Parolin non potrà produrre nulla di immediato in questo senso. Ma intanto servirà a insistere sull’importanza che le parti comincino a parlarsi. Poi si vedrà.
© riproduzione riservata