Una bambina ucraina piange, il primo giorno di scuola, consolata dalla mamma - REUTERS
«Sono cresciuti così in fretta. Lo siamo tutti in verità, presidi, docenti, genitori», dice con orgogliosa amarezza Iryna, seguendo con lo sguardo il piccolo Ostap oltre il cancello, sempre più indistinguibile nel mucchio eccitato del primo giorno di scuola. A Kiev le sirene che annunciano gli attacchi aerei hanno suonato ancora nella notte, inseguendosi e sovrapponendosi di quartiere in quartiere come venissero da campanili o minareti.
Per milioni di studenti ucraini sarà un altro anno di corse nei rifugi e di lezioni online, in una frammentazione didattica direttamente proporzionale alla prossimità del fronte. Ostap frequenterà il secondo turno, quello di mezzogiorno, resosi necessario per garantire uno spazio minimo nella cantina addobbata ad aula scolastica. Studierà solo lingua ucraina, matematica e inglese, dovrà rinunciare all’attività fisica. «È stato difficile all’inizio dovergli dire, c’è la guerra, dovergli spiegare la morte. Cos’è la guerra? I russi che vogliono annientarci. Ora si è abituato a tutto, perché la guerra è ovunque», spiega la madre.
Le finestre delle aule ricavate nella metropolitana di Kharkiv - Ansa
«All’inizio dell’invasione, fra marzo e maggio, abbiamo spedito nostro figlio a ovest, non lontano da Leopoli, dai nonni. Piangeva tutti i giorni, temeva che ci potesse accadere qualcosa. Ripeteva: non posso vivere senza di voi. Ci spezzava il cuore», racconta Maria, amministrativa in una scuola cristiana a nord della capitale. Fra le piccole file marziali che raccoglierà di aula in aula serpeggerà ancora la paura che qualcosa di inconcepibile possa accadere là fuori, si leveranno rabbiosi gli insulti ai russi. Verranno i blackout, il grasso ronzio dei generatori, la scelta fra Internet e il freddo anche se il presidente Zelensky, nel suo messaggio augurale, assicura: «Faremo ogni sforzo per ripristinare la sicurezza in tutto il Paese».
«Diamo loro delle attività da fare nei lunghi pomeriggi, offriamo la connessione e un tè caldo, parliamo. Gli psicologi con cui ci siamo confrontati affermano che fondamentale per superare il trauma della guerra è la solida presenza di un adulto. Da noi non si accorgono nemmeno delle sirene», riassume Sasha Riabyi, reverendo di una piccola chiesa evangelica a Khotiv, villaggio della periferia di Kiev, trasformatasi spontaneamente in una comunità di sostegno grazie alle donazioni di beni di prima necessità, che le Ong dispensano con magra intermittenza.
La piccola pieve ha dato avvio alle attività prima dell’inizio del conflitto. La miseria, l’alcolismo e il silenzio dell’amministrazione locale avevano già reso obbligato un intervento. A Kharkiv, sessanta aule per circa mille studenti sono state allestite fra i corridoi sotterranei della metropolitana.
Un'aula allestita a Kharkiv, nella metropolitana - Ansa
La seconda città dell’Ucraina, con i suoi 1,4 milioni di abitanti, si trova a poco meno di trenta chilometri dal fonte, reso incerto dalla insistente offensiva che l’esercito di Mosca ha portato sulla direttrice della vicina Kupyansk. La cupa scenografia è nonostante tutto garante della continuità didattica. La vera trincea pedagogica si trova a Kherson, nella sua provincia e nei territori che ad essa sono assimilati dal governo.
Qui le lezioni possono esistere solo online, e sono di conseguenza soggette a continue interruzioni, all’assenza di strumenti tecnologici in una popolazione che si accartoccia sempre più nella povertà. «Chi è rimasto ormai si è indurito nella necessità. Ma enorme è la dispersione scolastica, non tutti i genitori sono capaci di colmare il vuoto creato da una situazione così difficile», spiega al telefono dalle strade fantasma di Kherson Snizhana, madre di un diciasettenne e volontaria nella distribuzione di materiale didattico nei villaggi all’intorno.
Un bimbo prepara lo zaino, controllando che ci sia tutto. Siamo a Vyshhorod, vicino alla capitale - Reuters
«Penso ad Oleksandrevska, non è rimasto più nulla. Portiamo sedie e tavoli per dare alle stanze dei ragazzi una parvenza di dignità». Ci sono poi Anna e la piccola Zlata, tornate da poco a Zaporizhzhia perché «mi è piaciuta l'Italia. Ho incontrato molti nuovi amici lì, anche se siamo completamente diversi per mentalità, abitudini, tradizioni. Ci sono molte persone buone e perbene. Ma amo così tanto l'Ucraina che anche l'aria è diversa per me». Nell’ennesimo nuovo inizio Zlata studierà online. Il terminale della stazione dei bus di Dnipro, pochi giorni dopo il nostro breve incontro, è stato annichilito da un missile russo.
Di nuovo in classe - Reuters