In un mondo globalizzato la gente cerca un «focolare» in cui rifugiarsi e questo fa il gioco di populisti e nazionalisti, con un rischio per la democrazia in Occidente. E in Italia rischiamo uno scontro tra generazioni. È preoccupato Aart de Geus, 63 anni, presidente della Fondazione Bertelsmann e già ministro del Lavoro olandese e poi, dal 2007 al 2011, vice segretario generale dell’Ocse. «Possiamo dire – spiega – che la democrazia è in declino nella maggior parte degli Stati Ocse, in alcuni Paesi anzi la situazione sta raggiungendo un livello molto critico. Speriamo che il nostro rapporto suoni la sveglia » .
Che cosa vi allarma?
Soprattutto negli Usa, ma anche in buona parte degli Stati Ocse, vediamo una polarizzazione dei partiti, una minor capacità del governo di affrontare le grandi sfide di quest’epoca, come il cambiamento demografico, la globalizzazione, la digitalizzazione. E più ci si polarizza, più ci si concentra sulla lotta di potere tra partiti, meno ci si preoccupa del futuro. È quel che chiamiamo l’erosione della democrazia.
E l’Italia? Nel vostro rapporto c’è un miglioramento dal 30° al 22° posto...
Sì, ma si riferisce al periodo tra novembre 2016 e novembre 2017. In realtà ora vediamo anche in Italia quelle tendenze alla polarizzazione, una minor consultazione della società civile, una comunicazione non coerente. Rischiamo di perdere in due anni i progressi degli ultimi dieci anni. E poi non vediamo uno sforzo ad affrontare le grandi sfide, le spese per le pensioni sono altissime e non si parla di ridurle, il debito cresce, mentre resta alta la disoccupazione giovanile. È la ricetta per uno scontro tra generazioni.
Il premier ungherese Viktor Orbán vuole la «democrazia illiberale», che piace a vari altri leader populisti...
Essere anti-establishment non è di per sé il rischio, può anzi essere il trionfo della democrazia per correggere élite che hanno perso la connessione con il popolo. Ma la «democrazia illiberale» è diversa, colpisce le fondamenta della democrazia, in quanto è anti-pluralistica. Demagoghi governano in nome di una maggioranza arrabbiata o almeno di una corposa minoranza, a cui viene detto che sono il «vero popolo». Tutti gli altri sono irrilevanti o un ostacolo. È la via per l’autoritarismo.
Che sta succedendo?
Assistiamo a un cambiamento del comportamento della gente e dei leader politici. La divisione destra- sinistra sta sparendo, gli interessi economici contano meno. Così vaste parti della società americana hanno votato per Trump anche se il suo programma non era nel loro interesse economico. Contano piuttosto le grandi sfide di cui parlavo, la gente non capisce più quel che sta succedendo. Per questo ora si rivolge di più a questioni come l’identità, votando per persone che raccontano storie molto semplici, per quanto magari sbagliate. In un mondo con sempre più spazio, la gente cerca un focolare. Magari si vota per un Macron, o invece per una persona che seduce con la nostalgia. Che può essere un cocktail tossico, se combinato con il rifiuto del pluralismo.
Non pensa che pesi la crescente ineguaglianza?
Indubbiamente. La diseguaglianza è un fattore cruciale, a causa di globalizzazione e digitalizzazione crescono i profitti di capitale mentre i proventi del lavoro ristagnano. La gente vede che ci sono vincitori e perdenti e si arrabbia se lo Stato non reagisce. E questa rabbia viene alimentata dall’invidia: la gente non capisce gli sforzi per salvare le banche, aiutare la Grecia, soccorrere i rifugiati e si chiede: e io che ci guadagno? Bisogna fare molta più attenzione. E non parlo solo di distribuzione di denaro, ma anche di chance per una vita migliore. Se la gente è arrabbiata, segue i falsi profeti.