Al sistema sanitario nazionale britannico non è bastato lo scandalo che ha costretto a sbarazzarsi del controverso Liverpool Care Pathway (Lcp), il protocollo medico che prevedeva la sospensione della nutrizione assistita ai pazienti in fin di vita, per decidersi a migliorare le cure destinate a rendere più dignitosi gli ultimi giorni dei malati senza speranza. Ancora oggi, nonostante siano passati quasi due anni dal ritiro del programma creato da un team del Royal Liverpool University Hospital alla fine degli Anni Novanta, si sente parlare di pazienti abbandonati a se stessi perché ritenuti ormai un inutile (e costoso) peso per la sanità pubblica sempre più a corto di risorse. Recentemente hanno fatto scalpore soprattutto il caso di una signora di 83 anni del Kent trovata letteralmente a succhiare una spugna pur di ottenere un minimo di idratazione, visto che l’acqua le era stata ormai negata, e di un ragazzo Down che è stato inserito nella lista dei «non rianimabili » conosciuta come “Dnr list’ (
do not resuscitate) senza che i genitori ne fossero informati. Casi che confermano anche i risultati di un recente studio del Royal College of Physicians – già emerso in fase preliminare e illustrato un mese fa anche da
Avvenire – secondo il quale solo una piccola «parte dei familiari delle migliaia di pazienti in fin di vita che ogni anno vengono inseriti nel programma di non rianimazione ne sono a conoscenza. Su un campione di novemila pazienti, il rapporto del professore Sam Ahmedzai conferma infatti che i familiari del venti per cento di questi non sono stati messi al corrente del fatto che i loro cari erano stati inseriti nella lista “Dnr” dei «non rianimabili». Lo studio, riportato anche dal
Daily Telegraph, conferma dunque che dei 200mila pazienti che ogni anno vengono inseriti nella lista “Dnr” ben 40mila ci finiscono all’oscuro dei familiari. «Gli ospedali devono fare me- glio – commenta Ahmedzai –, è imperdonabile non informare i familiari ». Ahmedzai ha poi detto di capire che «la Sanità stia attraversando un periodo di profonda crisi a causa dei tagli inflitti dal governo», ma questo «non giustifica comportamenti disumani nei confronti delle persone più vulnerabili». Il Liverpool Care Pathway venne studiato per «aiutare i pazienti ad affrontare con serenità e senza dolore le ultime ore», ma nella maggior parte dei casi si limitava a offrire sedativi e sospendere medicine, alimentazione e idratazione. Tuttavia neanche l’uso del cosiddetto Dnr – la direttiva legale che permette ai medici di rinunciare a pratiche rianimatorie su pazienti considerati terminali od ormai privi di speranze – è da elogiare. «Dovrebbe infatti essere usata in pochi casi, molto specifici –commentava ieri il
Guardian –, ma è ovvio dai risultati del rapporto che anche questa pratica è oggetto di abusi». «Sono molti anni, almeno trenta – spiega ad
Avvenire la baronessa Illora Finlay – che sto cercando di spingere alla Camera dei Lord l’approvazione di una legge sulle cure palliative, mentre la lobby contro l’eutanasia in questo Paese sta cercando di costringere il governo a investire più fondi nel fine vita. La situazione che devono affrontare le persone in fin di vita negli ospedali della Gran Bretagna è in molti casi tragica come mostrano ampiamente i risultati di questo rapporto. Speriamo almeno che i nuovi dati aiutino a creare più consapevolezza ».