ANSA
«Non potete uscire. È proibito. Perché? Perché è proibito». Il dialogo si ripete, con poche varianti, ogni giorno da lunedì a Nindirí, paesino a ventisei chilometri da Managua. Gli agenti presidiano la parrocchia di Santa Ana e sbarrano il passo a quanti cercano di uscire. Alcune centinaia di persone, in gran parte giovani, vestite con lunghe tuniche e con una croce di legno sulle spalle. Sono i “Cirenei”, fedeli che, durante la Settimana Santa, sfilano per le strade della cittadina per ricordare il gesto di Simone di Cirene, il quale, secondo i Vangeli, aiutò Gesù lungo il Calvario. Una tradizione antica, alla quale partecipano almeno duemila abitanti e che, ogni anno, attira a Nindirí visitatori dal resto del Nicaragua.
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URGENTE 🔴🇳🇮
Jovencito fue amenazado por la policía de Ortega-Murillo con cárcel tras querer hacer la procesión de los tradicionales "cirenos" en Nindiri nicaragua esto es la persecución contra la iglesia en #SOSnicaragua pic.twitter.com/dJ5EZAfA23
Stavolta, però, il governo del presidente Daniel Ortega e della vice, nonché moglie, Rosario Murillo, ha deciso di vietarla, come il resto delle processioni della Quaresima. Polizia e “turbas” – la milizia di volontari orteguisti – sono incaricati di far rispettare l’ordine. Non sempre, però, ci riescono. Da lunedì, qualche “Cireneo” riesce a eludere la sorveglianza. E viene inseguito e riportato in chiesa. Una scena surreale. E Nindirí non è un caso isolato. In tutta la nazione, in gran parte cattolica, oltre trenta celebrazioni pubbliche sono state annullate per «ragioni di sicurezza». Inclusa la popolare processione sulle acque del lago Cicibolca, sostituita in tutta fretta da un “pellegrinaggio sandinista”, promosso dal governo. La stima è al ribasso. Nella sola capitale, la polizia ha messo sotto sorveglianza 118 parrocchie per impedire Via Crucis “clandestine”.
«Ci hanno detto che queste possono svolgersi solo intorno alle chiese», ha confermato il presidente della Conferenza episcopale nicaraguense, Carlos Enrique Herrera. Il parroco di Maria Ausialitrice, a San José de Cusmapa, nella diocesi di Estelí, padre Donaciano Alarcón, religioso claretiano panamense, è stato arrestato, pestato ed espulso per aver celebrato il corteo delle Palme, domenica. Nella successiva omelia, inoltre, padre Alarcón aveva citato il vescovo Rolando Álvarez, recluso nel carcere di massima sicurezza di La Modelo, dove sconta una condanna a 26 anni per «istigazione alla rivolta». Due “colpe” molto gravi agli occhi delle autorità che hanno lasciato scalzo a El Espino, lungo la frontiera con Panama. La Chiesa – unica realtà indipendente rimasta nel Paese – ormai è bersaglio continuo della repressione di Ortega. Negli ultimi sedici mesi, ventuno sacerdoti sono stati incarcerati o esiliati come «traditori», decine sono minacciati e messi sotto stretta vigilanza. Più volte la coppia presidenziale ha insultato i vescovi e il Vaticano, definiti «mafia». Lo strappo più clamoroso si è consumato il 12 marzo, quando il governo ha sospeso le relazioni diplomatiche con la Santa Sede.