Un gruppo di indonesiani lasciano il Sudan in fiamme - Ansa
Proseguono le evacuazioni degli stranieri dal Sudan e la fuga dei sudanesi verso Ciad ed Egitto. Secondo il governo del Cairo, 16mila persone di cui 14mila cittadini sudanesi sono entrati in Egitto finora e decine di migliaia sono in coda alla frontiera. L’Onu ha aiutato invece 20mila rifugiati a passare in Ciad. Si tratta dell’esodo più grande dopo quello da Kabul nell’agosto 2021. Ma nella guerra civile violentissima scoppiata 12 giorni fa, e di cui i media italiani si stanno già dimenticando, si consuma il dramma di altre decine di migliaia di invisibili privi di documenti, i rifugiati e i profughi spiaggiati nei rifugi sotto le bombe. Il Sudan accoglie più di un milione di rifugiati registrati dall’Alto commissariato Onu (Acnur-Unhcr) oltre a un numero elevato di profughi.
La maggior parte provengono dall’Eritrea e dal Tigrai, la regione del nord etiope. Gli eritrei vantano una comunità di profughi e rifugiati che, in oltre 30 anni, ha raggiunto in Sudan un milione di unità circa che vivono in campi dell’Unhcr o sparpagliati per le città. Dalla Siria, invece, sono arrivate almeno 90mila persone secondo stime Onu del 2021. Proprio in questi giorni, sono stati uccisi durante i combattimenti quattro rifugiati siriani, tra cui un bambino e sarebbero stati uccisi due eritrei
L’evacuazione del personale diplomatico e dell’Onu è un pessimo segnale nonostante l’esercito abbia annunciato un prolungamento di 72 ore del cessate il fuoco. Inoltre la situazione umanitaria in quello che è il maggiore snodo dei flussi migratori dall’Africa verso la Libia è intanto in netto peggioramento secondo Ong e agenzie umanitarie internazionali. Cominciano a scarseggiare i rifornimenti di cibo, acqua, medicinali e carburante nella capitale Khartum. Secondo l’Oms, il 61 per cento delle strutture sanitarie è chiuso e solo il 16 per cento funziona normalmente. L’Ocha, agenzia che coordina gli aiuti umanitari per le Nazioni Unite, ha sospeso i programmi per i 50mila bimbi affetti da malnutrizione. Senza la fine dei combattimenti le 512 vittime ufficiali rischiano di moltiplicarsi. Secondo gli osservatori sarebbero già almeno il quadruplo.
A mezzanotte è scaduta la fragile tregua di 72 ore che in diverse aree del Paese, come nel Darfur e nella stessa capitale, non è stata rispettata. Solo l’esercito guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan, uno dei due contendenti, ha accettato il piano dell’Igad, il gruppo degli Stati est africani, di negoziare una nuova tregua, ironia della sorte, a Giuba, la capitale del Sud Sudan staccatosi da soli 11 anni dal Sudan dopo una lunga guerra.
Sono forti le pressioni per far accettare i negoziati anche al generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, capo delle forze paramilitari di supporto rapido, che in serata ha accettato di trattare. Anceh se starebbe aspettando il rientro attraverso l’Eritrea dei mercenari che ha inviato a combattere in Yemen a fianco degli Emirati Arabi, suoi alleati nella lotta per prendere Khartum. E altre milizie degli ex janjaweed che misero a ferro fuco il Darfur nel primo decennio del secolo, arriveranno a dargli manforte dalla Libia e dal Ciad.
Nel caos che regna in queste ore nella grande città sui due Nilo contesa da due signori della guerra alimentati da grandi e medie potenze, i rifugiati vengono catturati, rapiti e addirittura rimpatriati, come è capitato a un migliaio di giovani eritrei fuggiti dal servizio militare a vita in vigore nello stato caserma africano. Notizia diramata da fonti dell’opposizione e confermata indirettamente da Tesfanews, agenzia che sostiene il regime eritreo, che ha definito «evacuazione» il rimpatrio forzato.
Il gruppo di opposizione Eritrea democratica ha confermato che uscire dalla capitale in cerca di scampo è molto difficile per i prezzi degli autobus schizzati alle stelle. E chi è riuscito a fuggire verso Kassala, nel sudest, dove ci sono i campi profughi per eritrei vecchi anche di 30 anni, è stato arrestato ai posti di blocco, poi malmenato e rapito dalle forze paramilitari sudanesi. Le quali, addestrate con fondi Ue dagli italiani (come ha rivelato nell’agosto 2022 Africa Express) per fermare i flussi migratori, li hanno rapiti e sottoposti a violenze per estorcere alle famiglie fino a 5mila dollari per la liberazione.
Ma, dopo averli liberati, li hanno caricati su una decina di grandi pullman e trasportati alla frontiera con l’Eritrea, dove li aspetta la galera o l’arruolamento. Attraverso le testimonianze di parenti di profughi in Sudan, sappiamo che i trafficanti di esseri umani sono già in azione nei quartieri abitati dagli eritrei nella capitale sudanese e nella città gemella di Omdurman e Barhi, da dove si organizzano i viaggi verso la Libia e che ricominceranno al più presto quando sarà possibile muoversi , magari in accordo con le milizie. Ieri l’Alto commissario Onu per i rifugiati ha lanciato un appello a tutti i Paesi confinanti con il Sudan «affinché mantengano aperti i propri confini aperti alle persone in cerca di sicurezza e protezione».
Se la violenza non si ferma, il rischio di una grave crisi di rifugiati è molto alto. «Migliaia sono già in movimento in cerca di sicurezza», ha annunciato su Twitter Filippo Grandi. Proprio quello di cui l’Europa – Roma in testa –, ha paura.