Nell'agosto dello scorso anno, l'allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ricevette un rapporto altamente confidenziale della Cia, contenente le prove del coinvolgimento diretto del presidente russo, Vladimir Putin, negli attacchi informatici per interferire nel processo elettorale statunitense. Attacchi che avevano il preciso obiettivo di danneggiare la candidata democratica, Hillary Clinton, e favorire il rivale repubblicano, Donald Trump.
A dedicare alla questione un lungo articolo, in esclusiva, è stato il Washington Post, che ha provato a ripercorrere quelle difficili settimane dell'amministrazione Obama, combattuta tra la necessità di avvertire gli statunitensi del pericolo e quella di non interferire nel processo elettorale.
La comunicazione ufficiale sull'interferenza russa fu infine pubblicata il 7 ottobre, senza la firma del presidente Obama e del direttore dell'Fbi, James Comey, che decise all'ultimo minuto di rimuovere il proprio nome dal comunicato perché le elezioni erano ormai troppo vicine. Per mesi, Obama studiò il modo migliore per rispondere agli attacchi russi. Obama ordinò la preparazione di una cyber-offensiva contro Mosca come rappresaglia, ma solo poco prima di lasciare la Casa Bianca. La decisione finale se sferrare l'attacco o meno sarebbe dunque toccata al neo-presidente Donald Trump. Il Post racconta la riluttanza di Obama a prendere misure contro la Russia prima delle elezioni di novembre, "per non peggiorare le cose".
A dicembre, dopo l'elezione di Trump, decise di approvare nuove sanzioni contro la Russia e approvò un piano segreto per piazzare delle “bombe digitali” pronte a colpire le infrastrutture russe. Anche a causa delle divergenze tra Obama e Trump sulle azioni da intraprendere, però, appare improbabile che Mosca affronterà conseguenze proporzionate all'attacco condotto, definito il "crimine del secolo" in ambito politico dal Washington Post.