venerdì 16 agosto 2024
Nuovo appuntamento in Egitto. Fonti degli 007 palestinesi ad “Avvenire”: «Noi contro Hamas, possiamo avere un ruolo a Gaza per proteggere i civili e costruire sicurezza»
Ragazzini di Gaza s spostano tra macerie e liquami.

Ragazzini di Gaza s spostano tra macerie e liquami. - Ansa

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A sentirli sembrano tutti insoddisfatti. Gli israeliani che non vogliono cedere terreno, Hamas che parla di «falsa atmosfera positiva». Nessuno però se ne è ancora andato sbattendo la porta. E si continuerà a trattare, concedendo altro tempo alla speranza di una tregua che possa riportare a casa gli ostaggi israeliani, mettere in sicurezza Tel Aviv da possibili nuovi attacchi di Hamas e delle sigle armate affiliate all’Iran, e soprattutto, fermare la carneficina nella Striscia. Il primo round si è chiuso ieri, nel rispetto dello Shabbat, il sabato ebraico. Riprenderanno la prossima settimana, ma al Cairo. Ufficialmente Hamas non siede nella stanza delle trattative, ascolta, però, dal retrobottega ciò che gli riferiscono in particolare i negoziatori di Qatar ed Egitto. Il presidente americano Biden, pur soddisfatto per la riapertura nelle trattative, ha invitato a fare un bagno di realismo. «Non ci siamo ancora», ha detto. Tuttavia per il presidente Usa una intesa è ora «molto più vicina» di quanto non fosse alcuni giorni fa. «Non voglio portare sfortuna – ha aggiunto – potremmo avere qualcosa. Ma non ci siamo ancora», ha riconosciuto adoperando un linguaggio che sa più di monito alle parti che di mera constatazione.

In una dichiarazione congiunta, gli Stati Uniti, il Qatar e l’Egitto hanno affermato che Washington ha presentato una nuova proposta basata sui punti di accordo raggiunti nell’ultima settimana, colmando le lacune tra le parti e questo potrebbe consentire la rapida attuazione di un accordo. «La strada è ormai tracciata per ottenere il risultato: salvare vite umane, portare sollievo alla popolazione di Gaza e allentare le tensioni regionali», si legge nella nota. Domani arriverà in Israele Antony Blinken, il segretario di Stato Usa che in dieci mesi ha collezionato una serie senza precedenti di porte chiuse in faccia. Ma a quasi due mesi dalle elezioni presidenziali Usa, vorrebbe ottenere un punto di svolta. Poi si recherà in Qatar e in Egitto, dove è attesa la ripresa dei colloqui. Un alto funzionario di Hamas, Izzat al-Rishq, ha dichiarato che Israele «non ha rispettato quanto concordato» nei colloqui precedenti. Gli emissari di Tel Aviv rivolgono al movimento estremista le medesime accuse. Tra i punti critici, l’insistenza di Tel Aviv sulla necessità della completa distruzione di Hamas per ottenere una pace duratura. Gli uomini del superricercato Sinwar (che viene dato con le ore contate) rispondono facendo sapere che accetteranno solo un cessate il fuoco permanente, non temporaneo. Fonti di alto livello dell’intelligence palesetinese ricordano che tra i militari agli ordini del presidente Abu Mazen vi sono ufficiali che per anni sono stati alla testa di operazioni anti-Hamas e che addirittura hanno subito attentati e minacce dai fondamentalisti palestinesi. In altre parole, «alcune aree di Gaza oggetto del negoziato – spiega ad Avvenire un funzionario di alto rango dell’intelligence palestinese – potrebbero vederci impegnati direttamente nella stablizzazione». Un piano di aree cuscinetto che, insieme ad altre forze di interposizione da Paesi arabi, potrebbe portare sia Israele sia Hamas ad accettare una presenza che sottragga spazio alle fazioni armate, ma tenga a distanza anche l’artiglieria pesante di Tel Aviv. Il controllo del confine tra Gaza e l’Egitto, in sintesi, potrebbe vedere un assetto anti-Hamas ma non pro-Israele.

C’è poi un altro nodo da sciogliere: il numero e l’identità dei prigionieri palestinesi da rilasciare insieme agli ostaggi israeliani. Hamas, a quanto risulta ad Avvenire, ha fatto in particolare tre nomi e non due: Marwan Barghouti, da più parti indicato per la successione di Abu Mazen (ma che potrebbe invece avere una responsabilità nel dopo-Gaza, data la sua mai nascosta ostilità nei confronti di Hamas, specialmente per aver colpito i civili il 7 ottobre); Ahmed Saadat, già segretario generale del Fronte per la liberazione della Palestina; infine Abdullah Barghouti, uno dei capi di Hamas in carcere.

Un nome, quest’ultimo, che sarebbe stato messo nel piatto sapendo di dover poi rinunciare, in cambio della liberazione di Marwan Barghuti la cui scarcerazione, secondo fonti vicine al governo palestinese, potrebbe non incontrare più le perplessità delle autorità di Ramallah, vista la trasversale popolarità di cui Barghuti gode in tutta la Cisgiordania, a patto che contribuisca a riavvicinare Gaza all’Autorità nazionale palestinese (Anp). Ipotesi che nel gabinetto Netanyahu non tutti vedono di buon occhio, stante l’antico progetto di indebolire l’Anp.

Dal terreno le notizie sono quelle del quotidiano bollettino di guerra. L’esercito israeliano ha chiesto l’evacuazione della popolazione nelle aree meridionali e centrali di Gaza. L’ordine di nuovo allontanamento «è stato emesso al fine di mitigare i danni alla popolazione civile e per permettere ai civili di allontanarsi dalla zona di combattimento», ha fatto sapere l’esercito.

Il ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, ha dichiarato che gli attacchi militari israeliani in tutta l’enclave hanno ucciso almeno 17 persone ieri, portando a oltre 40mila il bilancio delle vittime in dieci mesi. Per i negoziatori di una tregua arriva una sponda dalla proposta Onu: una settimana di cessate il fuoco per una campagna di vaccinazione contro la poliomielite, visto che la malattia si sta diffondendo tra gli sfollati. Un alto funzionario occidentale, parlando in forma anonima con l’agenzia Reuters, ha dichiarato che c’è almeno un caso confermato di polio nell’enclave, definita anche su questo fronte come «una bomba a orologeria».

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