In un solo pomeriggio, oltre 1.000 arresti, secondo il portale della Ong Ovd-Inf. Putin ha deciso di mostrare i muscoli e di bloccare ogni contestazione potenzialmente in grado di incrinare il sistema. La manifestazione di sabato, che evidenzia il calo di popolarità del capo del Cremlino causato anche dai problemi economici del Paese e dalla sgradita riforma delle pensioni del 2018, era stata organizzata contro l’esclusione di numerosi oppositori dalle elezioni comunali a Mosca, da sempre un trampolino di lancio per la politica nazionale.
Le autorità hanno respinto la candidatura di decine di loro invalidando molte firme con dei pretesti rigidamente formali.
Sabato 20 luglio erano già scese in piazza 22mila persone, ma la protesta non si è fermata e ieri diverse migliaia sono tornate a manifestare. La folla si è data appuntamento davanti al municipio, ma, tra arresti e transenne piazzate nei punti strategici, i partecipanti sono stati costretti a spostarsi anche nelle vie limitrofe, senza smettere di urlare «La Russia sarà libera!».
Le manganellate dei poliziotti, schierati in assetto antisommossa, si sono fatte sentire e i feriti sono almeno sei, tra cui una donna che sanguinava vistosamente dalla testa. La polizia ha, inoltre, fatto irruzione nello studio tv del dissidente Navalny bloccando la diretta web delle proteste.
Gli arresti erano comunque iniziati già prima della manifestazione. Mercoledì il più importante trascinatore delle proteste anti-Putin, Alexiei Navalny, è stato fermato e subito condannato a 30 giorni per «organizzazione di una manifestazione non autorizzata».
Tra l’altra notte e sabato mattina, invece, gli agenti hanno fermato i dissidenti Ilia Yashin, Liubov Sobol, Dmitry Gudkov, Ivan Zhdanov, cui la Commissione elettorale non permette la candidatura. L’accusa per loro potrebbe essere anche più grave: gli investigatori hanno da poco aperto un’inchiesta su una serie di cortei ipotizzando l’«ostruzione al lavoro delle commissioni elettorali», con una pena che arriva a cinque anni di reclusione.