Il presidente messicano Lopez Obrador - Ansa
Incastonato tra le rocce argillose della Sierra Madre occidentale,
Bacadéhuachi è un minuscolo villaggio di appena mille abitanti
, quasi tutti agricoltori e pastori in lotta perenne con la siccità. Da qualche tempo, però, questo angolo remoto di deserto, a meno di trecento chilometri di Hermosillo, è
l’epicentro di una partita geopolitica globale tra Messico, Cina, Usa, Canada e Europa
. La ragione si cela nelle viscere della terra arida di Bacadéhuachi dove si trovano
3,5 milioni di tonnellate di litio:
oltre quaranta volte la quantità consumata in tutto il mondo nel 2019. Con uno dei maggiori giacimenti del pianeta, il Paese si è insinuato nel "triangolo del litio", formato da Bolivia – il maggior produttore mondiale –, Cile e Argentina. Nonché nella nella
c
orsa mondiale per lo sfruttamento del "petrolio bianco"
, fulcro dell’attuale transizione energetica dai combustibili fossili a fonti meno inquinanti.
Il minerale è fondamentale per la fabbricazione delle batterie che alimentano cellulari ed auto elettriche
. L’urgenza di arginare il cambiamento climatico ha fatto schizzare verso l’alto la domanda di queste ultime.
Con essa è lievitato il prezzo del metallo, arrivando al record di
35mila dollari per una tonnellata
. E la scalata è appena all’inizio perché la fame di litio dovrebbe moltiplicarsi per quaranta in meno di vent’anni. Un bottino che il governo messicano è determinato a non lasciarsi sfuggire. Da qui il recente annuncio del presidente
Andrés Manuel López Obrador
: «Creeremo un’impresa messicana per il litio. Non vogliamo diventare campo di battaglia tra le grandi potenze, come la Russia, la Cina o gli Stati Uniti. È una risorsa del nostro popolo». La nazionalizzazione del minerale, in quanto «risorsa strategica», è stata inclusa all’interno della riforma elettrica che, in quanto legge di rango costituzionale, prevarrebbe sulla normativa ordinaria. E, per quanto riguarda il "petrolio bianco" – questa l’ultima novità – sulle concessioni già accordate. In primis quella ottenuta nel 2018, durante il governo di Enrique Peña Nieto – dalla compagnia anglo-canadese Bacanora Lithium, di recente acquistata dal
colosso di Pechino Gangfeng
. Non è un caso, dunque, la menzione presidenziale del Dragone. Addirittura, López Obrador ha minacciato un’indagine per verificare che la Commissione per la concorrenza economica non abbia volutamente favorire il governo cinese con la concessione del Sonora. Il braccio di ferro, però, è appena cominciato. Alle questioni legali ed economiche – la Camera mineraria messicana ha avvertito che la nazionalizzazione potrebbe essere «molto onerosa» per la nazione –, si somma
il grande scoglio della mancanza di capacità tecniche necessarie per l’estrazione
. Un problema analogo a quello in cui si era trovata
la Bolivia di Evo Morales
, nella cui sterminata distesa del Salar si trova la metà delle riserve internazionali del metallo. Dopo un’iniziale diffidenza, l’ex leader si era deciso ad accettare la partecipazione dei privati, seppure in «collaborazione» con l’esecutivo nazionale.
Per il Messico, tuttavia, i tempi sono stretti.
Gangfeng vuole iniziare l’estrazione delle prime 20mila tonnellate entro l’anno prossimo per poi portarla a oltre 50mila, al costo di due miliardi di dollari
. Una cifra importante. Ma ne vale la pena. In gioco c’è il rifornimento del mercato asiatico, da dove proviene il 90 per cento delle batterie mondiali.