Il campo di concentramento nazista di Auschwitz-Birkenau, in Polonia
Sulla Shoah, la Polonia ha scelto di fare un passo indietro. Definire Auschwitz o Birkenau «campi di sterminio polacchi» resta vietato. Un’eventuale infrazione, però, non sarà più punita con la reclusione fino a tre anni di carcere. Il trasgressore avrà, invece, solo conseguenze in sede civile. Dunque gli saranno comminate sanzioni pecuniarie. Lo deciso il primo ministro, Mateusz Morawiecki, del Partito della legge e della giustizia (Pis), che ha fatto passare in Parlamento un emendamento alla controversa legge, approvata il primo febbraio scorso.
Questa proibiva – pena il carcere – di accusare la Polonia di complicità con i crimini commessi dagli occupanti nazisti durante la Seconda guerra mondiale. La misura aveva creato un’accesa polemica con Israele. Governo e opposizione dello Stato ebraico si erano uniti in una condanna unanime. Critiche erano state espresse anche dallo Yad Vashem, il principale centro di ricerca storica sulla Shoah. Non solo. L’Ue si era detta perplessa dalla scelta di Varsavia mentre gli Usa avevano ventilato «conseguenze nei rapporti».
Proprio l’opposizione di Washington, secondo vari analisti, avrebbe spinto la Polonia a rivedere il provvedimento. Già ai ferri corti con l’Europa per la questione migranti e per la riforma della giustizia, Varsavia avrebbe preferito non aprire un ulteriore fronte diplomatico. Specie ora che la Polonia ha appena firmato – il giorno prima della marcia indietro – un contratto per la fornitura di gas naturale dagli Usa, in modo da ridurre la dipendenza dalla Russia. Del resto, anche vari settori dell’opinione pubblica nazionale erano insorti contro la legge. E immediati erano fioccati i ricorsi. Ora, la proposta del premier Morawiecki sembra voler chiudere la diatriba.
L’emendamento è stato approvato a tambur battente, nel giro di poche ore, da Camera e Senato, e poi firmata dal presidente Andreij Duda.«Abbiamo deciso di eliminare le conseguenze penali che potrebbero distrarre l’attenzione dal vero obiettivo. Cioè la difesa del buon nome della Polonia e della verità storica», ha sottolineato Michal Dworczyk, consulente del primo ministro. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, s’è detto soddisfatto: «Mi felicito che il governo polacco, il Parlamento, il Senato e il presidente abbiano deciso di annullare quei paragrafi che avevano scatenato una tempesta e malumore in Israele e nella comunità internazionale». E ha aggiunto che Gerusalemme e Varsavia hanno raggiunto sulla questione un compromesso accettabile per entrambi i Paesi. Lo Yad Vashem, da parte sua, ha definito il gesto di Varsavia «uno sviluppo positivo nella giusta direzione».
L’invasione della Polonia da parte della Germania hitleriana fu una pagina terribilmente tragica della Seconda guerra mondiale. Il Paese perse in pochi anni quasi sei milioni di cittadini, tra cui tre milioni di ebrei. In tale contesto, il capitolo della persecuzione di questi ultimi è particolarmente complesso. Molti polacchi non esitarono a mettere a rischio le proprie vite per salvare i vicini dai nazisti: 6.700 di questi sono stati insigniti dal titolo di “giusti fra le nazioni” dallo Yad Vashem. Al contempo, però – sostengono gli storici – altri collaborarono attivamente con gli occupanti nei rastrellamenti. Nella Polonia occupata, inoltre, i nazisti costruirono alcuni dei luoghi simboli dello sterminio, in primis Auschwitz. Tuttora, dunque, per Varsavia è difficile fare i conti con la memoria di quel passato doloroso.