Il mesto ritorno a scuola nella Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland, Florida, teatro della strage di studenti (Ansa)
Qualche giorno fa io e mia figlia tornando a casa stavamo avendo la solita conversazione dopo la scuola. Com’è andata? Cosa avete imparato di nuovo? Domande a cui era seguita una risposta svogliata circa una «nuova esercitazione». A San Francisco le prove di evacuazione in caso di incendio sono ormai una routine. Però questa volta il pensiero è volato ai fatti della Florida, e ho chiesto di cosa si trattasse. «Quando qualcuno entra a scuola con un’arma e uccide le persone... – mi risponde –, ci hanno spiegato a scuola che si chiama Shooting Drill. Ma non mi va di parlarne, mi fa paura».
Una conversazione che non si vorrebbe mai dovere affrontare con una bambina di 7 anni. Ma la discussione era già stata avviata a scuola. Chiedo se abbia voglia comunque di spiegarmi: sono interessata come mamma e anche come giornalista. «Si chiudono le finestre – mi dice –, si chiude la porta a chiave, e ci si siede in un angolo dell’aula. Bisogna fare silenzio, stare calmi e in silenzio. Ma abbiamo avuto paura, due mie compagne hanno pianto. Anch’io avevo paura, ma continuavo a ripetermi dentro la testa “è solo un’esercitazione, non sta succedendo veramente”. Poi la voce della direttrice dall’altoparlante ci ha detto di metterci in fila con calma e con il maestro siamo usciti dalla scuola».
Come genitore, visualizzi quella scena con angoscia, pensi che la scuola sia un luogo designato ad imparare a leggere, a scrivere, a costruire amicizie, non un posto da cui mettersi in salvo in caso di attacco. Ma la cronaca contraddice il tuo pensiero. E le statistiche non aiutano: dall’inizio del 2018 ci sono stati almeno otto attacchi con armi da fuoco nelle scuole degli Stati Uniti. Così, cresce l’apprensione tra i genitori. La reazione più diffusa, almeno fino a prima dei fatti di Parkland, oscillava tra sgomento e senso di ineluttabilità. Adesso, invece, comincia a percepirsi un desiderio di mobilitazione, se ne parla a scuola e sui social. Intanto, il distretto scolastico di San Francisco, Sfusd, con un’email prova a rassicurare i genitori circa le misure di sicurezza in atto nelle scuole per prevenire un attacco. Peccato che nessuna porta chiusa all’ingresso, videocamera di sorveglianza, esercitazione o workshop sulle misure di sicurezza riuscirà mai a garantire la totale invulnerabilità.
Tantomeno la presenza di un maggior numero di assistenti sociali o dell’Sro (School Resource Officer), il poliziotto a scuola, come dimostra la cronaca recente. «Secondo il Law Center to Prevent Gun Violence, leggi più restrittive sulle armi hanno come effetto una riduzione di decessi per arma da fuoco», prosegue l’informativa. «La California, fortunatamente, è fra gli Stati che garantisce maggiore sicurezza in tal senso. Tuttavia, non siamo ancora immuni dalla minaccia e siamo parte di una società più ampia che ha davanti a sé un serio problema». In un passaggio, lo Sfusd ricorda che in caso di emergenza i genitori verranno informati con un messaggio sul telefono dallo SchoolMessenger, e rispondendo «Yes» al numero 67587, potranno ricevere le notifiche aggiornate.
Per ora, non resta che scongiurare una tale eventualità. Intanto nelle prossime settimane si aspettano manifestazioni anche nelle scuole, e dal distretto giunge sostegno: «Siamo convinti che i fatti recenti possono essere occasione per un cambiamento positivo. Se gli studenti decidono di manifestare pacificamente ne hanno il diritto. Gli amministratori scolastici e la polizia metteranno a disposizione risorse adeguate ad assicurare uno svolgimento pacifico e sicuro».