Ancora una volta il Pakistan profondo mostra il vero volto di un Paese che cerca di reagire alla violenze di ispirazione religiosa con qualche segnale di successo ma mantiene nell’intimo, nei recessi delle sue metropoli come nelle aree tribali dove la legge dello Stato cede il passo a tradizioni arcaiche, aree di incredibile arretratezza e abuso. Ultima vittima di un giudizio emesso da un “panchayat” (consiglio della comunità) – istituzione diffusa nel Subcontinente indiano, fatta propria da tradizioni socio-religiose diverse e tollerata anche dal dominio coloniale britannico – è una bambina di 10 anni, Maryam.
Per lei gli “anziani” di un villaggio nei pressi della città di Bahawalpur, nella provincia del Punjab, hanno decretato un stupro come «vendetta» da parte dei tre congiunti di un’altra giovane, a sua volta vittima di violenza da parte del fratello di Maryam. La quasi coetanea Parveen, una undicenne, si era allontanata da casa su richiesta della madre per raggiungere un capanno all’ingresso del villaggio, ma era stata sorpresa da Amjad, fratello della piccola Maryam, che aveva abusato di lei.
Per «ottenere giustizia del grave affronto subito », secondo la polizia, il padre di Parveen, Sardar, si è rivolto al “panchayat”, i cui membri hanno deciso che «la figlia di Azam, Maryam, doveva essere violentata allo stesso modo, come vendetta ». Secondo i mass media locali, i genitori di Maryam non avrebbero avuto altra scelta che mandare la figlia a casa di Sardar che, insieme ai figli Akhtar e Bilal, l’ha violentata. Per i traumi subiti, la giovane è stata costretta al ricovero in ospedale, mentre la famiglia ha denunciato i violentatori e di conseguenza la polizia ha avviato la ricerca dei responsabili che nel frattempo si sono resi latitanti.
Ancora una volta, la vicenda mostra la commistione sconcertante tra legge tribale, consuetudini e Legge dello Stato, con i genitori costretti a lasciare la figlia a un destino a- troce per evitare ripercussioni peggiori sull’intera famiglia, mentre la polizia, comunque a conoscenza della realtà locale, è intervenuta solo a seguito di una denuncia formale. Nessuna giustizia possibile invece per Parveen, la cui famiglia ha scelto di “seguire” la legge del taglione, facendo di Maryam una seconda vittima dopo la loro stessa figlia. Solo lo scorso ottobre, il Parlamento pachistano ha approvato all’unanimità una legge contro i «delitti d’onore», che prevede fino all’ergastolo per i colpevoli e comunque fino a 25 anni di carcere anche in caso di perdono da parte delle famiglie delle vittime.
A sbloccare un provvedimento atteso, reso urgente da almeno 500 omicidi legati a questo genere di reati lo scorso anno, la vicenda di una celebrità locale: la blogger Qandeel Baloch, strangolata a luglio dal fratello per ripulire la famiglia dalla vergogna per il suo atteggiamento socialmente sconveniente. Tra i limiti della legge, approvata dopo un dibattito aspro con una forte opposizione dei gruppi di ispirazione religiosa, l’ampia discrezionalità dei giudici, sia nella definizione di “delitto d’onore”, sia nell’applicazione delle pene.