«Non è un caso, ma una persona». Lo ha sottolineato con forza l’arcivescovo di Gorizia, Carlo Roberto Maria Redaelli, alla Messa in suffragio del giovane ricercatore Giulio Regeni che la sua comunità parrocchiale ha voluto a 3 mesi dalla tragica morte. Se nel mondo imparassimo a conoscere i nomi e a guardare i volti, molto potrebbe cambiare, ha proseguito Redaelli, invitando a non trasformare le persone in un caso o in un numero. Sentire alla televisione, ad esempio, che sono morti 100 immigrati per una barcone affondato o che 90 persone sono decedute in un bombardamento o in un atto di terrorismo è più sopportabile che conoscere nome, volto e storie di ciascuno di loro. Può esserci anche una positività nel fatto che la vicenda di Giulio sia diventata un “caso”. «Ci spinge infatti a ricordare tante persone sconosciute che in Egitto e in molti altri Paesi subiscono la stessa sorte – ha spronato l’arcivescovo –. Un ricordo che ci può aiutare ad avere un sussulto di dignità, a reagire come possiamo contro le ragioni di stato, di partito, di ideologia che giustificano e moltiplicano all’infinito nel mondo le ingiustizie, le violenze, le cattiverie». (F.D.M.)