Begoña M. Rueda - instagram
Non c’è conforto né gloria a lavare in ospedale i panni sporchi della pandemia. I camici macchiati di medici e infermieri, le lenzuola impregnate di sudore, sangue e dolore dei pazienti. Durante la prima ondata di coronavirus, Begoña M. Rueda, 29 anni, che due anni fa sospese gli studi in filologia per lavorare come lavandaia all’ospedale Punta d’Europa ad Algesiras, nel sud dell’Andalusia, si rese conto che non c’erano applausi per chi, come lei, era addetto alle pulizie o al lavaggio della biancheria degli infetti.
E cominciò a fare quello che ha sempre fatto: convertire in versi quello che la colpisce e impressiona. «Alle otto la gente esce sui balconi ad applaudire/le fatiche dei medici e delle infermiere/ma pochi applaudono le fatiche della donna che spazza e lava l’ospedale/o di noi che laviamo la biancheria degli infetti/a mani nude». Ne è nata una cronaca poetica in tempo di pandemia. Il ritratto vivido, crudo e lancinante, a tratti ironico e gioioso, della vita stessa, che le è avvalso il premio Hiperión, il più prestigioso di poesia in spagnolo.
Intitolata «Servicio de lavandería», riflette lo sguardo di chi, fra lavatrici e asciugatrici industriali, carri di panni sporchi in entrata e pile immacolate nel cellophane in uscita, è normalmente invisibile. «I sudari si accumulano nelle casse di cartone vicino alla porta del bagno./Sono gli unici indumenti che non si lavano dopo l’uso./ Come tutto ai nostri tempi vengono nella plastica/pronti a incontrare la morte come brioches industriali/confezionate e dritte al vuoto./Uno si domanda chi fabbrica i sudari, quale fredda macchina li cuce e impacchetta/pronti per coprire qualunque corpo/ che giace muto nella morgue./Io per sudario vorrei la mano di mia madre,/morire prima di lei/e giacere di nuovo nel suo ventre,/tornare a essere bambina e non avere la minima idea/che nelle lavanderie degli ospedali/la morte si accatasta in casse di cartone/accanto ai servizi igienici».
Nelle parole della giuria, il libro premiato è «coeso, critico, lirico senza eccessi, potentemente plastico, con marcati contrasti e finali a tutto tondo». Rueda, che negli ultimi sei anni ha pubblicato sette raccolte di poesia e ricevuto altrettanti premi, cominciò a scrivere il libro nel 2019. Per cui è diviso in due parti, la prima «Lavado» (Lavaggio), prima del virus, e «Aclarado», (Risciacquo), la seconda, in cui racconta il terrore per la minaccia sconosciuta, la mancanza di mezzi per farvi fronte, l’ospedale al collasso, i minuti di silenzio per i compagni morti.
«Puoi disinfettare la biancheria e lavarla a temperatura molto elevata, ma a volte puoi ancora sentire il profumo e ti chiedi come sia possibile», annota. «C’è un’umanità che si aggrappa alle lenzuola e a volte non puoi lavarla via». No, ti resta impigliata alle dita.