Il premier dell'Etiopia, Abiy Ahmed, all’arrivo al summit sulla Via della Seta a Pechino - Ansa
L’Etiopia torna, dopo anni, a rivendicare il diritto di uno sbocco sul Mar Rosso nel Corno d'Africa, ma incassa due rifiuti da Eritrea e Somalia. E ora le possibilità di una crisi internazionale per l'acqua nella regione aumentano dopo che le tensioni tra Asmara e Addis Abeba sull'accordo di cessate il fuoco in Tigrai del novembre scorso hanno incrinato l'alleanza tra i leader Abiy e Isaias.
L'Etiopia è diventata il più grande Paese africano senza sbocco sul mare dopo la secessione di Asmara, ex provincia etiope, nel 1993. E dopo la guerra fratricida del 1998-2000 tra i due Paesi, Addis Abeba dipende dal confinante Gibuti per oltre l'85% delle sue importazioni ed esportazioni.
La miccia l'ha accesa venerdì 13 ottobre il premier etiope Abiy Ahmed in un discorso televisivo, ribadendo il diritto del suo Paese di avere uno sbocco al mare, ricordando al tempo stesso a Sudan ed Egitto che la questione della diga sul Nilo sulla quale i tre Stati stanno trattando invano da anni è parimenti vitale.
«Il Mar Rosso e il Nilo definiscono l’Etiopia – ha dichiarato il nobel per la Pace 2019 –, sono una questione esistenziale, le basi per il suo sviluppo o la sua scomparsa». Due rivendicazioni parallele sull’acqua e sui territori espresse, a suo dire, per evitare futuri conflitti. Ma che in definitiva hanno ripreso la dottrina dello stratega ottocentesco ras Alula (il “Garibaldi d’Abissinia”, protagonista delle vittorie etiopi contro gli invasori italiani a Dogali e ad Adua) per cui il Mar Rosso era il confine etiope.
Abiy ha affermato che «un Paese di 150 milioni di abitanti non può essere tenuto in una prigione geografica. E come non è un tabù discutere del Nilo con Sudan ed Egitto non deve esserlo per il Mar Rosso e l’Oceano indiano». E ha elencato i porti che potrebbero essere pacificamente utilizzati anche dall’Etiopia, da quelli eritrei di Assab e Massaua, a Gibuti fino a Zeila in Somaliland in cambio della condivisione dell’energia elettrica che sarà generata dalla Grande diga del Rinascimento sul Nilo se e quando entrerà in funzione.
Lo ha subito gelato l'ex alleato eritreo Isaias Afewerki con le truppe del quale – lo ha ribadito la Commissione indipendente dell'Onu che ha indagato sui crimini di guerra in Tigrai – ha invaso la regione autonoma settentrionale etiope, mettendola in ginocchio e provocando la morte di 500mila tigrini. Gli eritrei inoltre non hanno mai abbandonato il Tigrai occidentale, dove continuano a imperversare con le milizie regionali Amhara che ultimamente si sono ribellate ad Addis Abeba.
In una dichiarazione, il ministero dell’Informazione asmarino ha affermato che i «discorsi» sull’accesso al mare sono «eccessivi», aggiungendo che la questione «ha lasciato perplessi tutti gli osservatori interessati».
Le autorità eritree hanno risposto anche di non essere state “coinvolte” sull’accesso dell’Etiopia al Mar Rosso e hanno chiesto di non rispondere alle «provocazioni». Secca anche la reazione di Mogadiscio – che per giunta non riconosce l’indipendenza rivendicata dal Somaliland – affidata al ministro degli Esteri, Ali Omar, per il quale l’accesso etiope ai porti somali è fuori discussione e la sovranità territoriale, come da Costituzione, è inviolabile. La palla torna ad Abiy, ma crescono i timori che approfitti della distrazione della comunità internazionale che guarda a Gaza.