mercoledì 22 agosto 2018
Una ong smentisce l'esecuzione della donna condannata a morte. Gromgham, arrestata nel 2015, potrebbe essere la prima oppositrice politica a subire la pena capitale
«Riad ha decapitato Israa». Giallo sulla dissidente sciita
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È un mistero la sorte toccata, in Arabia Saudita, all’attivista per i diritti umani Israa al-Ghomgham, arrestata nel dicembre del 2015 insieme al marito per aver documentato le manifestazioni anti-governative esplose nella regione del Qatif dal 2011 in poi. Alcuni siti Internet e profili social iraniani hanno dato per certa la morte della donna per decapitazione, in seguito a una condanna a morte, sostenendo che questa sarebbe avvenuta domenica 19 agosto.

A caccia di riscontri attendibili, alcune testate giornalistiche, fra cui la francese "Libération", hanno però contattato la ong Alqst (con sede a Londra, impegnata nella denuncia dei diritti violati nel regno Saud), che ha smentito la sua morte. Inoltre, secondo il sito marocchino "Article19", il video della decapitazione di una donna, in circolazione sul web, riguarda una condannata birmana e non la Ghomgham, come indicato invece da chi ritiene che l’attivista sia già deceduta. Il giallo, però, rimane visto che la 29enne sciita, detenuta in un luogo segreto da tre anni, non è più apparsa in pubblico da allora. L’allerta sulla sua vicenda è alta fra le organizzazioni per la difesa dei diritti umani: secondo la European Saudi organisation for human rights (Esohr), con base a Berlino, un pubblico ministero saudita ha effettivamente chiesto per la donna e gli altri quattro co-imputati in un processo in corso ora la condanna a morte. Il ricorso presentato da Esohr sarà esaminato a fine ottobre.

La Ghomgham è accusata di incitamento alla protesta, sostegno morale ai rivoltosi e comportamenti ostili al regime: avrebbe infatti scandito slogan anti-governativi. Ieri il quotidiano britannico "The Independent" ha messo in luce i possibili effetti dell’intransigenza di Riad: la Ghomgham sarebbe la prima donna a subire la pena capitale nel regno per attivismo politico; un terribile precedente per le numerose dissidenti arrestate di recente dalla polizia saudita. Fra di loro anche Samar Badawi, sorella di Raif, blogger dissidente detenuto dal luglio 2013 per le sue idee liberali. Pure l’ong Human rights watch (Hrw) lancia l’allarme per la giovane, sottolineando la sproporzione fra le accuse rivolte all’attivista e la richiesta del pubblico ministero. «Ogni esecuzione è spaventosa, ma chiedere la pena di morte per attivisti come Israa al-Ghomgham, che non è neanche accusata di comportamento violento, è mostruoso», è il commento di Sarah Leah Whitson, responsabile di Nord Africa e Medio Oriente per Hrw.

Israa è una nota attivista appartenente alla minoranza musulmana sciita residente in un Paese dominato dai sunniti. La regione orientale del Qatif, confinante con l’Iran e ricca di idrocarburi, è un avamposto della Sci’a in terra sunnita. La minoranza accusa Riad di discriminazione sistematica in tutti gli ambiti: dall’istruzione al mondo del lavoro, dalla sanità all’esercito. Al-Ghomgham, sottolineano i vertici della la European Saudi organisation for human rights in queste ore, non si è mai battuta solo per i diritti degli sciiti, ma per quelli di tutti i sudditi del regno. Il caso delle attiviste saudite arrestate quest’anno ha già causato la rottura dei rapporti diplomatici e commerciali tra l’Arabia Saudita e il Canada dopo le critiche rivolte dal ministero degli Esteri di Ottawa al sultanato.

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