Come previsto dagli analisti nei giorni scorsi il Daesh sta tentando di fare letteralmente terra bruciata a Mosul. Oltre a costringere i liberatori della città irachena a combattere casa per casa, strada per strada, i miliziani del Califfato vogliono dare fuoco a quanti più pozzi di petrolio possono. Una vendetta per depauperare l'Iraq, ma anche un modo per rendere l'aria irrespirabile all'esercito iracheno e ai suoi alleati, curdi e sciiti.
Ad andarci di mezzo i soliti civili. Migliaia di famiglie dell'area di Mosul si ritrovano a vivere in quello che è diventato un "inferno pieno di fumo", come lo descrive l'associazione umanitaria Oxfam. Queste famiglie hanno inoltre scarso accesso ad acqua pulita e a servizi medici, aggiunge Oxfam, che in un comunicato, afferma che "il fumo oscura il sole e rende grigie le facce dei bambini".
Al momento i jihadisti dello Stato islamico hanno appiccato incendi a 19 pozzi di petrolio prima di ritirarsi dalla regione di Qayyara, una trentina di chilometri a sud di Mosul, per ripiegare a nord davanti all'avanzata delle forze governative. E con molti pozzi ancora sotto il controllo del Daesh intorno a Mosul c'è il pericolo che la situazione possa peggiorare.
Coloro che vivono vicino ai pozzi incendiati affermano che il fumo provoca loro bruciori alla gola e ai polmoni e che i neonati hanno difficoltà a respirare. Un medico nella località di Haji Ali, vicino a Qayyara, dice che molti suoi pazienti soffrono di bronchite e che c'è carenza di medicinali. "Anche dopo che il Daesh se n'è andato - afferma Andres Gonzalez, direttore per l'Iraq di Oxfam - molte delle persone che vivono nella scia di distruzione che ha lasciato ci hanno detto che la vita rimane insopportabile. I pozzi di petrolio in fiamme continuano a spargere fumi tossici".