«È una Carta che pone problemi fondamentali, come quello della libertà di coscienza. Occorre rispettare le leggi, certo, ma i cittadini devono pure conservare un dovere di critica e resistenza ad esempio di fronte a leggi che paiono inique». A pensarlo è l’esperta Anne Coffinier, che dirige la “Fondazione per la scuola”, importante organismo francese impegnato a favore del pluralismo didattico.
Come giudica questa Carta?Rispecchia bene un difetto molto francese, ovvero i principi teorici ben prima delle esigenze pratiche. In ogni articolo, questa Carta allinea una serie di concetti molto astratti. Al contrario, la scuola pubblica è oggi impantanata in problemi concreti e questa Carta mi pare del tutto sconnessa dalla realtà.
Ravvisa un’impronta ideologica?Sono innanzitutto scandalizzata dal fatto che si utilizzi il concetto di scuola della Repubblica e non quello di scuola pubblica. Seguendo la logica del testo in senso stretto, si ha subito come l’impressione che solo la scuola pubblica sia repubblicana e che quella privata sia invece una scuola di seconda categoria. Insomma, una specie di mondo periferico appena tollerato dalla Repubblica. Certi altri articoli, poi, sembrano rimare con la concezione personale della scuola espressa in passato da Vincent Peillon, per il quale la scuola repubblicana è quasi una nuova forma di religione, con la sua mistica laica.
Cosa pensa dell’uso del termine laicità?La laicità è una separazione istituzionale. Ma all’art. 12 della Carta, si può leggere che gli insegnamenti saranno laici, il che è ben poco chiaro. Infatti, un insegnamento dovrebbe solo orientarsi verso la verità e rispettare una certa correttezza scientifica. Secondo lo stesso articolo, “nessun tema è escluso a priori dall’interrogazione scientifica e pedagogica”. E questo, ad esempio, può legittimamente suscitare il timore di un’introduzione della teoria del gender nei manuali.
Pensa che questo strumento risolverà dei problemi?Non credo. Questa Carta avrà probabilmente effetti sulla popolazione musulmana, che si sentirà stigmatizzata. Certe tensioni rischiano di essere solo esacerbate. E gli insegnanti non saranno affatto aiutati. Ma al contempo, a livello pedagogico, rischia di essere frenato l’auspicio di quelle scuole pubbliche che vogliono sviluppare una propria identità e la fierezza di appartenere ad esempio a specifici contesti locali.