Gli attentati suicidi di Surabaya, sia quelli di domenica nella chiesa cattolica e nelle due protestanti, sia quella di stamattina contro la centrale di polizia della stessa città, la seconda più popolosa dell'Indonesia ma al centro di un’area problematica quanto a sviluppo, benessere e radicalizzazione dell’islam, mostrano non solo un’escalation improvvisa – a cui vanno aggiunti la presa di ostaggi e il conflitto a fuoco tra islamisti prigionieri e forze speciali e l’attentato fortunatamente senza vittime contro un centro di preghiera cristiano di Pulo, Sulawesi, sempre domenica – ma con caratteristiche nuove e aberranti.
Negli attentati suicidi di due giorni fa e di oggi, come pure in quello fallito, ancora domenica, per l’esplosione dell’ordigno durante la sua preparazione in un appartamento di Surabaya, sono infatti coinvolti interi nuclei familiari, almeno tre, probabilmente un quarto. Bambini portati a morire dalle madri e dai padri. Una situazione impensabile nell’Indonesia della convivenza e dell’islam dialogico che mostra, da un lato, la radicalizzazione a cui sono sottoposti molti al giorno d’oggi, a partire dalle scuole coraniche che - una frazione delle molte migliaia diffuse nell’immenso arcipelago - subiscono sempre più la pressione estremista. Dall’altro presuppone una diffusione degli ideali e metodi jihadisti assai diffusi e in parte dovuti ai combattenti a fianco del Daesh in Medio Oriente, oppure una preparazione meticolosa per azioni mirate.
La polizia continua a sostenere che gli eventi delle ultime ore sono conseguenza della reazione di una settimana fa delle forze speciali alla cattura e uccisione di cinque dei loro uomini da parte di carcerati per reati di terrorismo, con la morte di almeno un terrorista. Difficile però pensare che la carneficina a cui si assiste sia un evento istintivo ma che si tratti piuttosto della punta di un iceberg che rischia di frantumare i valori fondanti della repubblica indonesiana e chiama i responsabili del Paese all’azione e alla riflessione.