sabato 27 agosto 2022
Era sopravvissuto al massacro della sua tribù da parte dei grandi proprietari e viveva isolato per paura di essere ucciso. Lo avevano soprannominato «O Indio do buraco»
Una foto scattata dai ricercatori della Funai

Una foto scattata dai ricercatori della Funai

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E' morto solo. Così come era stato costretto a vivere a causa della violenza scatenata contro il suo popolo. Una ferocia tale che quest'ultimo ora si spegne insieme a lui, l'uomo senza nome della tribù senza nome. L'ultimo indigeno in isolamento volontario della riserva Tanaru, 8mila ettari a cavallo dei municipi amazzonici di Chupinguaia, Corumbiara, Parecis e Pimenteiras do Oeste, nella Rondônia brasiliana.

Il resto della sua comunità era stata sterminata dai grandi proprietari e dai trafficanti di legname negli anni Settanta e Ottanta. Rimasto solo, aveva rifiutato il contatto con il resto della società di cui aveva conosciuto solo il volto più brutale. Per paura di essere ucciso, si nascondeva in fossati da lui stesso aperti sul terreno. Per questo, quando i ricercatori della Fundacão nacional do indio (Funai), Altair Agayer e Marcelo dos Santos, lo avevano identificato, nel dicembre 1996, lo avevano soprannominato "O Indio do buraco", l'indigeno che scava le buche.

Il suo corpo è stato trovato mercoledì, anche se la notizia è stata confermata ieri. L'uomo era sdraiato sulla stuoia, con indosso gli ornamenti tradizionali. L'istituto di medicina legale sta esaminando il cadavere prima della sepoltura per scoprire la causa del decesso.



L'Indio do buraco non era solo l'emblema dei nativi in isolamento volontario. Era soprattutto un simbolo di resistenza. Il suo caso è stato cruciale per costruire la politica nei confronti degli "inconttatati". A questi ultimi, lo Stato garantisce il diritto a restare isolati se lo vogliono e assegna loro una terra sufficiente ampia affinché possano viverci. Dopo che era stata scoperta la presenza dell'Indio do buraco, la Funai aveva creato la riserva Tanaru proprio per proteggerlo. Ora si teme che anche questo pezzo di foresta, ancora intatta, muoia con lui. Del resto, come ha dimostrato un recente studio delle Nazioni Unite, i nativi sono i più efficaci custodi dell'Amazzonia.


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