Marcia per i diritti indigeni a Rio
«Vorremmo avere giustizia. Abbiamo necessità di qualcuno che si preoccupi di ciò che ci sta accadendo». Luiz Carlos Guajajara è ancora sconvolto. Due settimane fa, il fratello minore – Erisvan Soares–, di 15 anni, ha lasciato la terra indigena di Arariboia, nello Stato del Maranhão, dove vive il popolo Guajajara, insieme al padre, per rifornirsi in città di cibo e attrezzi per l’agricoltura. Non ha, però, potuto fare ritorno. Il suo cadavere è stato trovato venerdì sera in un campo di calcio di Amarante, secondo il Consiglio indigenista missionario (Cimi), organismo della Chiesa brasiliana impegnato nella difesa dei diritti dei nativi. Erisvan è il quarto Guajajara assassinato in un mese e mezzo. La settimana scorsa, in un agguato, sono stati crivellati di proiettili Firmino Prexede e Raimundo Benício. Il primo novembre era toccato a Paulino, storico leader dei “guardiani delle foresta”, gruppo auto-organizzato di nativi contro i cacciatori di risorse. Per la polizia, però, l’ultimo omicidio «non ha un crimine d’odio né è legato alla battaglia per la terra». Erisvan – che le autorità continuano a identificare con il 28enne Dorisvan – sarebbe stato ucciso «in una rissa». Una versione contestata dal Cimi, dalla Commissione pastorale della terra e dal movimento indigeno. «C’è una sequenza di assassinii inquietante», ha affermato Gilderlan Rodrigues, coordinatore del Cimi in Maranhão. Di fronte alle recenti violenze, il ministro della Giustizia, Sergio Moro, ha deciso l’invio della forza nazionale nella zona per i prossimi tre mesi. Esclusa, però, la terra indigena Arariboia, dove abitavano Erisvan e Paulino.