Uno dei slum demoliti a New Delhi in vista del G20' - Reuters
Si avvicina il vertice del G20 e la capitale dell’India si appresta ad accogliere sabato e domenica prossimi i prestigiosi ospiti stranieri. Un’occasione d’eccezione, la prima di questo livello per il colosso dell’Asia meridionale, per proporre nella cornice plurimillenaria di Delhi le potenzialità e l’orgoglio di una nazione che si propone come protagonista sulla scena mondiale forte della sua popolazione, della sua storia, del suo indubitabile progresso e delle sue potenzialità. Ancora però troppo spesso segnata dalle sue contraddizioni. La “più grande democrazia del mondo” può giustamente vantarsi di avere portato la popolazione oggi a oltre 1,4 miliardi di individui fuori dalla fame e in parte fuori dalla povertà, tuttavia il vero progresso elude ancora una fetta consistente degli indiani, la discriminazione castale tocca ancora il 25 per cento della popolazione, l’uguaglianza resta difficile per una parte non indifferente delle sue minoranze etniche e religiose.
Il “mosaico indiano”, una ricchezza in termini antropologici e culturali, vede ancora troppe tessere grigie per potere esprimere quell’unità e coesione nazionale, quel benessere condiviso e quella pari opportunità sancita nella Costituzione del 1950.
Quello che i rappresentanti dei Paesi del G20 vedranno sarà una Delhi rimessa a nuovo, con un palazzo del Parlamento inaugurato poco più di tre mesi fa e una meticolosa preparazione dei luoghi e dei percorsi dell’evento. In aggiunta, una mostra “La madre della democrazia” dedicata a celebrare i 3.500 anni di storia del Paese e la sua democrazia dal 1951 alle elezioni politiche del 2019, accoglierà capi di Stato, delegati e altri ospiti in 16 lingue. Un avatar – replica ingigantita della “danzatrice”, uno dei più famose reperti della civiltà della Valle dell’Indo – frutto dell’intelligenza artificiale, sintetizzerà per gli ospiti il senso della mostra e lo sviluppo di una civiltà antica e di una repubblica post-coloniale in cui un ruolo centrale hanno avuto i valori democratici. Tradizione, modernità e tecnologia è il mix che i partecipanti al vertice potranno apprezzare e che gli indiani mostreranno al mondo, anche se non tutti potranno gioirne.
Non le migliaia di “vittime” delle demolizioni che dal primo aprile al 27 luglio hanno interessato 49 siti nella capitale in preparazione dell’evento. Una popolazione aggrappata, a volte da anni, a lotti di terreno pubblico che è stata cacciata dalle abitazioni precarie demolite dai bulldozer, rimasta in balia delle piogge monsoniche e di agguerriti procacciatori di alloggi illegali a costi per i più inarrivabili. La beffa è stata ancora più amara per i residenti dello slum di Janta Camp, a soli 500 metri dal centro congressi di Pragati Maidan, sede della prestigiosa assise mondiale. Passati dall’euforia per la prossimità all’evento e le possibilità lavorative che poteva offrire a una vita stentata allo sconforto dei senza fissa dimora. Non diversamente da una parte consistente dei 20 milioni di abitanti della metropoli ma diversamente da altri, cancellati dalla vista dei potenti del mondo.