La militanza islamica ha una lunga tradizione in Germania, sfociata negli ultimi anni in una crescita allarmante del fenomeno jihadista. Dopo Francia e Regno Unito, da questo Paese proviene il maggior contingente di aspiranti jihadisti. Si stima, infatti, che dal territorio tedesco siano partiti verso la Siria e l’Iraq circa 820 volontari, molti di più rispetto ai 100 o 120 censiti dai servizi federali alla fine del 2013. Una trentina di loro sono morti, mentre 270 sono rientrati, spesso per riprendere a filare la tela, cercando di reclutare negli ambienti salafiti, assai attivi nel Paese.
Uno tra i nomi più noti nella scena salafita locale è il 35enne Sven Lau, alias Abu Adam, predicatore e fondatore con altri compagni di una “polizia della sharia” a Wuppertal, nel Nord-Reno Westfalia, dove si è atteggiata a guardiani dei costumi invitando i cittadini a conformarsi ai dettami dell’islam. Fino al suo arresto, esattamente un anno fa. Secondo gli inquirenti, Lau ha operato come interlocutore di un’organizzazione vicina al Daesh fornendo anche supporto economico e logistico a jihadisti presenti in Germania.
Come per altri cittadini europei, le partenze per i territori del Califfato hanno interessato diverse categorie: immigrati residenti da anni in Germania o loro discendenti, spesso alla ricerca di un’identità, ma anche diversi convertiti tedeschi all’islam. Tre anni fa, ha fatto scalpore in Germania la notizia secondo cui un gruppo di convertiti tedeschi aveva partecipato a un’operazione di “pulizia etnica” condotta da un gruppo radicale siriano contro alcuni villaggi cristiani sul confine con la Turchia.
Tra le note figure jihadiste tedesche il 39enne Abu Talha al-Almani (ossia il Tedesco), nato Denis Cuspert e in arte Deso Dogg, ex rapper di Kreuzberg, quartiere di Berlino, entrato nella lista nera del Dipartimento di Stato americano. Cuspert è rimasto ucciso il 16 ottobre 2015 in un raid della coalizione occidentale vicino a Raqqa, togliendo così al Daesh il suo regista del terrore. Aveva infatti fondato al-Hayat, una delle prime case di produzione di video con cui gli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi facevano propaganda al jihad, soprattutto per reclutare stranieri. Cuspert era apparso in diversi video: in uno teneva la testa di un uomo decapitato dai jihadisti, in un altro aveva minacciato direttamente la Germania: «In Francia sono arrivati i fatti. In Germania i dormienti aspettano».
Una militanza che si spinge fino al folle suicidio. Degli oltre 50 kamikaze con passaporto europeo che hanno scelto (e talvolta sono stati scelti) di immolarsi per la causa del Daesh, oltre un quinto proviene dalla Germania. Il primo è Othman al-Almani, una faccia da ragazzino, che si è fatto saltare nella località di Umm al-Amd, in provincia di Homs, nel giugno 2014. Nel giro di pochi mesi, tra luglio e novembre del 2014, lo hanno emulato altri sei tedeschi in altrattanti attacchi suicidi in Iraq: Abu al-Qaaqaa (9 morti contro un check-point della polizia vicino a Baghdad), poi Abu Osama (Ninive), Abu Yasser e Abu Ibrahim (Kirkuk), Abu Sara (che insieme a due compagni ha provocato 58 morti all’interno di un compound curdo in provincia di Diyala) e infine Abu Taymiyyah (a Beiji, provinvia di Salahuddin). Sempre a Beiji si è fatto saltare nel maggio 2015 Abu Mohammad, seguito il mese successivo da un altro Abu Ibrahim che, insieme ad altri sei kamikaze, tutti stranieri, ha lanciato un attacco simultaneo contro una postazione dell’esercito iracheno.
Le ultime due azioni kamikaze messe a segno da tedeschi risalgono allo scorso marzo. Nella prima tale Ihsan al-Almani si è fatto esplodere nella provincia irachena di al-Anbar, mentre nella seconda Abu Omar al-Almani si è scagliato, secondo il comunicato del Daesh, contro «un covo di apostati del Pkk vicino a Shaddadi», nel nordest della Siria.