« È stato un mio errore e mi dispiace. Diventeremo poliziotti del sistema che ci ruota intorno». E ancora: «È stato chiaramente un errore credere a Cambridge Analytica, non avremmo dovuto fidarci soltanto della loro parola». Che il suo “sogno” non brillasse più da tempo, lo aveva già fatto intuire la valanga di “Fake news” – menzogne create ad arte e spacciate come vere – che “intossicavano” la sua creatura. Quel Facebook che, nel nome dell’idea «di costruire una comunità globale», ha finito per catturare, nella sua rete, qualcosa come due miliari di utilizzatori.
Ora quanto quel sogno nasconda zone di opacità lo ha dovuto riconoscere lo stesso Mark Zuckerberg, davanti al Congresso Usa. In una sorta di mimesi. Da aspirante presidente a “imputato” per lo scandalo Cambridge Analytica, la cessione «impropria» dei dati relativi a 87 milioni di utenti Facebook. Due giorni sulla graticola. Ieri davanti alla commissione Commercio del Senato, oggi la replica alla commissione della Camera. «Non abbiamo fatto abbastanza per impedire che questi strumenti vengano utilizzati in modo dannoso – è stata l’ammissione di colpa del fondatore di Facebbok –. Non abbiamo affrontato in modo sufficiente le nostre responsabilità ed è stato un grosso errore. Ci vorrà del tempo per elaborare tutti i cambiamenti che dobbiamo apportare, ma mi impegno a farlo nel modo giusto». E ancora: «Non basta connettere le persone e dar loro voce: bisogna garantire verità e sicurezza. Facebook è un’azienda idealista e ottimista».
Zuckerberg ha esibito i successi della sua impresa. «Mentre Facebook è cresciuto, le persone di tutto il mondo hanno ottenuto un nuovo potente strumento per rimanere in contatto con le persone che amano, far sentire la propria voce e costruire nuove comunità. Dopo l’uragano Harvey, la gente ha raccolto oltre 20 milioni di dollari di aiuti. E oltre 70 milioni di piccole imprese ora usano Facebook per crescere e creare posti di lavoro».
Quindi il mea culpa. «Ma è chiaro ora che non abbiamo fatto abbastanza per impedire che questi strumenti vengano usati anche per il danno. Ciò vale per fake news, le interferenze straniere nelle elezioni e discorsi che incitano all’odio, così come per gli sviluppatori e la privacy dei dati. Non abbiamo preso una visione abbastanza ampia della nostra responsabilità, e questo è stato un grosso errore». E su uno dei temi più spinosi, vale a dire l’intreccio con il Russiagate, Zuckerberg ha assicurato che è in atto la collaborazione con il procuratore speciale Robert Muller. Basterà per calmare le acque? Il colosso californiano sta cercando, in tutti i modi, di correre ai ripari. E di recuperare quel capitale immateriale (e volatile) che è alla base del successo di un social media, e che lo scandalo Cambridge Analytica ha rischiato di disperdere: la fiducia. In che modo Facebook vuole provare a tappare la falla? Il colosso californiano ricompenserà gli utenti che segnalano l’uso improprio dei dati da parte degli sviluppatori di App. Attraverso il programma “Data Abuse Bounty”, verranno «premiate le persone che conoscono casi in cui un’App della piattaforma raccoglie i dati per venderli, usarli per truffe o per scopi politici».
Una cosa è certa. I guai per il colosso Usa non sono finiti. Una class action congiunta negli Usa e nel Regno Unito è stata lanciata sia contro Facebook che contro Cambridge Analytica.
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Durante l'audizione al Senato, ha rivendicato i successi del social più grande mondo e ammesso alcune responsabilità «Non abbiamo fatto abbastanza». I guai per lui e l'azienda non sono finiti
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