Scavano trincee gli ucraini e lo stesso fanno i russi, che hanno imbottito il terreno di fossati anticarro, filo spinato e mine per fermare i tank - Ansa
L'Ucraina ci crede. La controffensiva tanto annunciata è pronta a partire: "I preparativi sono quasi ultimati" ha detto fiducioso il ministro della Difesa Reznikov. Tutto parla di imminenza. Il presidente Zelensky: "L'Ucraina ha già dato prova di poter vincere. Il nostro obiettivo è restituire una vita normale a tutti gli abitanti dei territori ucraini".
Quando e dove si comincerà?
Vassylivka, Tokmat e Polohy? Saranno forse questi i primi obiettivi della controffensiva ucraina? Prenderli spianerebbe la strada verso Enerhodar e la sua centrale nucleare, fra Kherson e Zaporizhzhia. Da qui si potrebbe puntare su Melitopol. Ma per conseguire effetti strategici, occorrerebbe prendere almeno Berdyansk e Mariupol, sul Mar d’Azov. La Crimea sarebbe allora a un passo, come la vittoria finale, che spiazzerebbe i russi anche nel Donbass. Lo schema d’azione iniziale partirebbe, presumibilmente nel giro di qualche settimana, con raid d’artiglieria diretti contro le prime linee nemiche per annientare le difese avanzate. I cannoni colpirebbero poi più in profondità per bloccare l’arrivo di rinforzi. Contemporaneamente, le unità d’assalto avanzerebbero, protette dai droni, dagli obici e dalle mitragliatrici pesanti, servendosi di arieti formati dai genieri, pronti ad aprire varchi fra le mine e a gettare ponti. Sarebbe un mix di fanti e veicoli molto blindati, che si incuneerebbero nelle brecce aperte. Da lì in poi entrerebbero in campo le forze di seconda schiera, più mobili. Ma, a meno di un crollo dell’Armata rossa, bisognerebbe manovrare sia in latitudine, sia in longitudine. Gli ucraini ne sono capaci? Serve un coordinamento millimetrico, acquisibile solo con esperienze e addestramento.
La situazione dell'esercito
Come si presenta l’esercito ucraino alla vigilia della controffensiva? Non abbiamo dati certi sui numeri, ma le perdite sarebbero pesanti: fra morti e feriti, la guerra avrebbe già inghiottito 80-100mila uomini. Alcune categorie di personale avrebbero patito più di altre: potrebbero mancare all’appello molti sottufficiali, colonna vertebrale di qualsivoglia manovra interarma. Certo, gli ucraini hanno organizzato due eserciti paralleli. Uno combatte al fronte, mentre un altro è tenuto in riserva, per le battaglie a venire. Nell’inferno di Bakhmut, sono state sacrificate le unità territoriali più che le élite. Kiev si è comportata come una formica: d’inverno ha costruito, formando un corpo di battaglia di dodici brigate. Parliamo di 50mila uomini, pronti alla manovra interarma, chiave di offensive complesse, coordinate e in profondità come quelle in itinere. Nove brigate hanno standard Nato, acquisiti in Polonia, Germania e Regno Unito. Molte le armi occidentali a disposizione: 1.550 blindati, 230 carri e munizioni. Sulla carta, c’è più sostanza che a settembre 2022, quando gli ucraini sfondarono nel settore di Izyum. Ma il fucile adesso potrebbe avere un solo colpo in canna. È al limite delle capacità rigenerative, esattamente come gli stock occidentali.
Le possibilità di successo
È davvero credibile una controffensiva ucraina di successo? Il terreno risponderebbe «ni», perché, da ottobre 2022, i russi l’hanno blindato, imbottendolo di trincee, fossati anticarro, putrelle, campi minati e distese di filo spinato. Non hanno più settori sguarniti, come a Kharkiv, nel settembre scorso, o teste di ponte isolate, come a Kherson, nel novembre 2022. I loro istrici difensivi, strutturati su tre livelli sinergici, coprono 60 chilometri dal fronte. Ricordano in molto quelli francesi del 1915 o le fortificazioni del 1942, che segnarono il passaggio dalla guerra di movimento alle trincee. A partenze folgoranti, subentrarono anche allora bastioni dietro cui trincerarsi. Avvenne ad El Alamein, a Mareth, sulla linea Gotica e su quella Gustav, come a Kursk e lungo le barriere Sigfrido e il vallo atlantico. Stesse dinamiche in Ucraina. Non c’è modo di oltrepassare le barriere se non forzandole frontalmente, al prezzo di perdite immani. Operazioni simili richiedono però mezzi colossali, appoggi e superiorità schiacciante in cannoni e missili, unico modo per infrangere le fortificazioni. Più che carri armati, importano artiglierie, munizioni, razzi e contromisure alle difese aeree nemiche, uniche a garantire un’ipotesi di avanzata, sotto l’ombrello dei caccia e degli elicotteri.
Il nodo della Crimea
Riprendere la Crimea è per gli ucraini un obiettivo chiave. È comprensibile, ma l’istmo è sacro anche per Putin. Kherson e Izyum sono state sconfitte tutto sommato accettabili per lo Zar. Dalla Crimea dipendono invece la grandezza imperiale russa e la sopravvivenza politica dell’attuale nomenclatura. Diversamente che altrove, qui entrerebbero in gioco le armi nucleari tattiche, extrema ratio, visto che la penisola è già un fortino semi-imprendibile. Mare e terra la proteggono. Non vedremo mai un Incheon a Sebastopoli: gli sbarchi anfibi di ieri sono oggi irripetibili. Nemmeno a terra è facile: vi sono solo due strettoie, entrambe fortificate. Agli ucraini occorrerebbe un’offensiva folgorante, accompagnata da manovre diversive, per ingannare i russi, come fatto dagli alleati alla vigilia dello sbarco in Normandia. La Crimea è invece l’operazione più annunciata della storia. Non è ipotizzabile nell’immediato: è il punto culminante della guerra, l’ultimo traguardo. Per riuscirvi, servono però mobilità estrema e intelligence perfetta, per sapere all’istante dove si trovano unità, ostacoli e campi minati russi. Solo così si può sperare di anticiparne la reazione, impedendo all’artiglieria di tuonare. Altrimenti sarà strage, sotto il tiro dei cannoni e dei velivoli russi.