giovedì 16 maggio 2024
Il patriarca di Gerusalemme alla parrocchia della Sacra Famiglia: «Sono molto felice di essere finalmente qui». Una visita voluta, cercata con determinazione, sin da ottobre. Ecco perché
Il cardinale Pizzaballa coi fedeli (tanti sono bambini) della parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza

Il cardinale Pizzaballa coi fedeli (tanti sono bambini) della parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza - Ansa

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«Sono molto felice di essere finalmente con la comunità cristiana di Gaza, di vedere le famiglie, i bambini, l’asilo qui dietro» afferma con un sospiro di sollievo il cardinale Pierbattista Pizzaballa. Al suo fianco, a reggere il microfono di un piccolo amplificatore, padre Gabriel Romanelli, il parroco di Gaza fino a ieri in “esilio” a Gerusalemme. Una visita voluta, cercata con determinazione, sin dall’inizio di ottobre subito dopo il “sabato nero”. Il patriarca latino di Gerusalemme è riuscito ieri ad entrare nella Striscia di Gaza e a visitare la parrocchia della Sacra famiglia. Con lui, oltre al padre verbita argentino Gabriel Romanelli rimasto bloccato a Gerusalemme dal 7 ottobre in poi, anche fra Alessandro de Franciscis, grande ospedaliere dell’Ordine di Malta.

Una visita prima di tutto pastorale: «Era molto tempo che volevo visitarli, stare con loro, ed ora ne ho la possibilità», precisa il patriarca che nella parrocchia della Sacra Famiglia ha concelebrato l’Eucaristia e visitato la chiesa ortodossa di San Porfirio. Dopo più di sette mesi di devastante conflitto, il desiderato incontro con la piccola comunità cristiana che, sin dai primi giorni di guerra nella Striscia, si è spontaneamente raccolta nel compound della parrocchia: una novantina di cattolici latini, assieme a circa 200 greco ortodossi che sono sopravvissuti ai combattimenti e alla mancanza di cibo: «Lo scopo di questa visita prima di tutto è stare con loro, abbracciarli e supportarli, verificare le loro condizioni, cercare di capire cosa si possa fare per migliorarle, e aiutarli in tutti i modi possibili» conclude il cardinale di Terra Santa, che chiede che «tutta la comunità cristiana preghi e sia unita con la comunità di Gaza». Il cardinale di Gerusalemme è il primo religioso a riuscire a entrare nella Striscia di Gaza, un risultato frutto di uno «sforzo» e in seguito ad una «trattativa» fanno sapere dal Patriarcato latino di Gerusalemme. Non c’è ancora un canale umanitario aperto con la parrocchia di Gaza, ma la visita è la prima tappa di una missione umanitaria congiunta del patriarcato latino e dell’Ordine di Malta: consegna di cibo e supporto medico-sanitario salvavita per la popolazione: l’intento è di ripetere in futuro altre spedizioni umanitarie per sostenere materialmente la piccolissima comunità che ospita anche una comunità di piccoli handicappati assistiti dalle suore di Madre Teresa di Calcutta.

Un attimo di tranquillità, che è già una conquista nell’enclave palestinese. A Gaza, afferma l’Onu, «non c’è nessuno posto sicuro dove andare» e in molti luoghi «non hanno accesso ad acqua, elettricità e servizi di base» per mantenere in vita la popolazione. La visita del cardinale Pizzaballa, come l’ennesima allerta umanitaria non fermano i preparativi per la “battaglia finale” contro la città di Rafah. L’altra notte Tsahal, l’esercito israeliano, ha schierato un’altra Brigata nella città, che si è aggiunta alla Divisione 162 già operativa a Rafah Est dall'inizio del mese. Spostamenti di truppe, in attesa delle decisioni del gabinetto di guerra che potrebbe dare il via ad un allargamento dell’offensiva. Solo questione di tempo, se il ministro della Difesa Yoav Gallan annuncia che «altre truppe» entreranno a Rafah, aggiungendo che «l’operazione si intensificherà». Il ministro, ieri in ricognizione nell’area, ha sottolineato che «la fazione islamica non ha truppe di riserva», né «scorte di approvvigionamento». Per questo motivo, ha aggiunto Gallant, «stiamo indebolendo Hamas». Una città che è già “terra bruciata”: secondo le Nazioni Unite almeno 600mila profughi sono già fuggiti dal distretto di Rafah dall’inizio delle operazioni militari. Preparativi di una prossima escalation ormai inevitabile, mentre si continua a combattere in tutto il Territorio: 39 morti nelle ultime 24 ore, e 35.272 le vittime nella Striscia seconda la Sanità di Hamas. Cinque soldati israeliani sono stati uccisi da fuoco amico.

Segnali che sembrano voler vanificare gli sforzi diplomatici ancora in corso: la Lega Araba, durante il vertice apertosi ieri in Bahrein, ha lanciato un appello per una «forza di pace dell’Onu nei Territori». Il re Bahrein ha pure chiesto una conferenza internazionale di pace. Ricerca di una via diplomatica che va ad infrangersi, pure, contro la divisione fra i palestinesi. L’attacco di Hamas, ha accusato il presidente dell’Anp Abu Mazen, ha dato a Israele dei «pretesti» per attaccare. «Respingeremo ogni piano per Gaza che non ci includa» Hamas, ha affermato Ismail Haniyeh. Israele, ha aggiunto il leader politico di Hamas, ha messo «i negoziati in un vicolo cieco».

Una guerra sempre più divisiva anche per la comunità internazionale: il nuovo governo Olandese, di estrema destra, vuole spostare la sua ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. E il Sudafrica ha accusato Israele di aver intensificato il «genocidio» a Gaza. Siamo a «un nuovo terribile stadio» ha affermato l’ambasciatore sudafricano alla Corte internazionale dell’Aja. A gennaio la Corte aveva ordinato a Israele di fare tutto il possibile per prevenire atti riconducibili a un intento di genocidio.

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