Natalia Verbova davanti alla tomba del marito ucciso per difendere Bucha e poi "dimenticato" dalle autorità locali - Gambassi
I garofani hanno i colori dell’Ucraina. Natalia Verbova li appoggia al centro della montagnetta di terra sotto cui è sepolto il marito. Poi con una mano accarezza la foto del «mio Andriy», come lo chiama, stampata su un foglio di carta che una busta trasparente protegge dalla pioggia e che scende dai bracci della croce. «Vengo il meno possibile qui. Ogni volta è un supplizio», sussurra. La tomba appare nell’ultimo angolo del cimitero di Bucha, in fondo alla strada che si perde nella campagna. Non si trova nel “sacrario degli eroi” che dà il benvenuto a chi entra. Un mausoleo a cielo aperto, ornato di bandiere e corone di fiori, dov’è seppellito chi ha difeso la cittadina martire a trenta chilometri da Kiev che un anno fa ha salvato la capitale dall’invasione progettata da Putin. «Anche Andriy ha sacrificato la vita per la nostra comunità. Ed è stato ucciso dai russi nei primi giorni dell’assedio», spiega la moglie.
Il “sacrario degli eroi” nel cimitero di Bucha che rende omaggio a chi ha difeso la cittadina martire - Gambassi
La data nella lapide provvisoria lo conferma: 4 marzo 2022. Appena una settimana dopo l’arrivo dei carri armati e dei soldati inviati dal Cremlino che, dopo un mese d’occupazione, avrebbero lasciato lungo le vie di Bucha centinaia di cadaveri e dietro una chiesa la prima fossa comune scoperta in Ucraina. Però Andriy Verboviy Oleksieyvich non aveva la divisa, come i valorosi che le autorità locali portano sul palmo di mano. «No, non era un militare di professione. Era un civile che è sceso in strada per proteggere la gente», dice la moglie. Un partigiano. Ma non un eroe, secondo certi criteri burocratici. Un morto di serie B. E quindi dimenticato, non meritevole degli onori cui hanno diritto gli arruolati uccisi e non degno dei sussidi che il governo assicura alle vedove di guerra e alle famiglie dei caduti. «Perché queste discriminazioni? Perché questa mancanza di rispetto? Perché questa memoria divisa?», ripete Natalia.
Il muro della fucilazione "dimenticata" di otto civili della resistenza di Bucha al civico 144 di via Yablunska dietro un palazzo di periferia - Gambassi
Il volto fasciato nel fazzoletto a pois è un’icona di dolore. E, mentre si piega verso la croce sulla tomba del marito, fa venire in mente lo “Stabat Mater”. «Dio è il mio soccorso», confida. Fra i pochi che hanno visitato il luogo in cui Andriy è stato assassinato insieme ad altri sette uomini, c’è il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, l’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk. Bisogna andare alla periferia della città per trovarlo. È il muro dietro il palazzo al civico 144 di via Yablunska. Le mattonelle crivellate di colpi raccontano di una fucilazione troppo simile a quelle compiute in Italia dai nazisti in ritirata. E le piccole foto affisse sulla parete ricordano le vittime. «Erano otto amici che, non appena è iniziata l’invasione, sono entrati insieme a far parte della resistenza popolare. Tutti nati e cresciuti qui», ripercorre la donna.
Il muro della fucilazione "dimenticata" di otto civili della resistenza di Bucha al civico 144 di via Yablunska dietro un palazzo di periferia - Chiesa greco-cattolica
Andriy lavorava nel grande magazzino “Epicenter” che vendeva materiale edile. «Ora non esiste più: è stato distrutto dai bombardamenti», avverte la moglie. Lui ortodosso, lei greco-cattolica. Il matrimonio. L’arrivo del figlio Roman che oggi ha 24 anni e non ha più il padre. «Quando ad Andriy gli domandavano perché aveva scelto di combattere, ripeteva: “Devo farlo per la famiglia e per chi è aggredito”», dice Natalia. E subito aggiunge: «Ma qualcuno della città lo ha tradito». Perché, quando è stato catturato con i compagni d’avventura, era in un rifugio clandestino. «Sicuramente lo hanno segnalato al nemico».
I familiari delle vittime della fucilazione "dimenticata" al civico 144 di via Yablunska dietro un palazzo alla periferia di Bucha - Chiesa greco-cattolica
Il video di una telecamera di sorveglianza mostra gli otto che vengono portati in fila indiana tra le fabbriche devastate dalle truppe d’occupazione dove sarebbero stati messi a morte. I corpi sono rimasti per un mese sul cemento fino alla liberazione di Bucha, senza che nessuno sapesse nulla dell’esecuzione a freddo. Neppure Natalia. «Quando chiedevo notizie di Andriy, non avevo mai risposte chiare». Per quattro settimane lo ha creduto vivo. E nascosto chissà dove.
I cadaveri sarebbero stati scoperti dall’esercito ucraino dopo la ritirata russa. E sono state le foto e un video diffusi su Telegram a “dire” alla donna che il marito era morto. «L’ho riconosciuto in mezzo ai corpi che erano uno sopra l’altro», sussurra. Andriy aveva 45 anni; il più giovane del gruppo ne aveva 28. «Sono morti per Bucha - afferma Natalia - ma nessuno ha mai riconosciuto il loro sacrificio. Il governo parla sempre di chi si immola per la patria; però non ha fatto nulla per i nostri cari». Le donne degli otto “non-militi ignoti” hanno creato anche un comitato. «Vorremmo che almeno l’amministrazione locale li ricordasse con un cippo o una targa. Lo abbiamo reclamato più volte, ma silenzio».
Natalia Verbova davanti alla tomba del marito ucciso per difendere Bucha e poi "dimenticato" dalle autorità locali - Gambassi
Allora Natalia ha seguito il consiglio dell’arcivescovo Shevchuk. «Ci ha detto: “Fate conoscere quanto i vostri parenti hanno compiuto e la brutalità con cui sono stati uccisi”. Lui ha pregato per le loro anime e per tutti noi. Ed è stato un segno di grande conforto. Sulle nostre famiglie già pesano i lutti della guerra. Non ci caricate anche del fardello dell’oblio».