Una delle chiese lesionate dal terremoto a Les Cayes - Reuters
«È necessario ristabilire urgentemente i servizi sanitari e igienici, soprattutto nelle zone più colpite, garantire l’acqua potabile per prevenire l’aumento di infezioni respiratorie, cutanee, diarree». L’appello a fare presto viene dalla direttrice dell’Ufficio Americhe dell’Organizzazione mondiale della sanità (Paho), Carissa Etienne. Bisogna evitare a Haiti una nuova catastrofe epidemica, come quella di colera seguita al terremoto del 2010 a Port-au-Prince, che causò 300mila morti.
Lo spettro si materializza fra le macerie provocate dal devastante sisma di sabato, di 7.2 gradi della scala Richter, e la coltre di fango lasciata dal successivo passaggio della tempesta tropicale Grace. Nella tragedia senza fine dell’ex perla nera dei Caraibi, dove la distruzione si aggiunge a povertà cronica, criminalità e instabilità politica, aggravata dal recente assassinio del presidente Jovenel Moïse, la popolazione è allo stremo. I morti sono saliti ieri a 2.200 i morti e a 12.268 i feriti. In maggioranza nel dipartimento Sud, il resto a Grand Anse e Nippes.
Nella città di Les Cayes sulla costa sudest, si continua a scavare a mani nude alla ricerca di sopravvissuti. Due dei quartieri più poveri della città, La Savane e Deye Fort, sono completamente allagati dalle onde gonfiate dalle piogge alluvionali. «Ho perduto la casa, non abbiamo più niente. Il governo non è venuto e non abbiamo nulla da dare da mangiare ai bambini», il lamento di Marcelina Pierre. È accampata con altre centinaia di famiglie nello stadio sportivo.
«Le tende di nylon e stracci non sono servite a proteggerli da 18 ore ininterrotte di pioggia», descrive Fiammetta Cappellini, da 20 anni sull’isola come responsabile dei progetti della Ong Avsi. Racconta: «Un’anziana, che aveva già perduto la casa con l’uragano Matthew nel 2016, poi crollata con il sisma, mi ha preso per mano per dirmi: “La ricostruirò anche questa volta, perché questa è la mia terra, e anche sotto questo fango ci sono le mie radici”. Ma c’è bisogno di tutto. L’azione umanitaria è urgente».
La stima è di 600mila sfollati, molti nelle aere rurali, dove intere comunità sono rimaste isolate e senza mezzi. «Gli aiuti sono scarsi e bisogna fare in modo che arrivino ai più vulnerabili», avverte Cappellini. Soprattutto ai bambini, sui quali si accanisce il dramma non solo per ricongiungerli con i familiari dispersi.
«In questo momento mezzo milione di minori ha un accesso limitato o nullo a rifugi, acqua potabile, assistenza medica e nutrizione», ha rilevato Bruno Maes, il rappresentante Unicef a Haiti, dopo aver raggiunto Les Cayes, con le squadre di emergenza. Un’impresa per pochi, con le bande di criminali che bloccano le strade, e milizie armate a Martissant, sulla nazionale che collega la capitale con Les Cayes. Con loro funzionari locali dell’Ufficio delle Nazioni unite per gli affari umanitari hanno dovuto negoziare per garantire un corridoio sicuro alle carovane di aiuti internazionali. Che cominciano ad arrivare poco a poco.
«Il problema maggiore è la sicurezza. Molti rapimenti, anche se non di stranieri, e molte armi da fuoco», riconosce Jorge Roldán, vigile del fuoco madrilegno, che ha raggiunto l’isola con la task force di Protezione civile inviata dalla Ue. Bruxelles ha destinato 3 milioni di euro in aiuti. «La nostra missione – spiega – è garantire approvvigionamento di acqua, servizi di risanamento e medici».