lunedì 12 aprile 2021
Nello scontro tra gli oppositori e il presidente Moïse, il Paese affonda nel caos. Il governo blocca 756mila dosi. Ma sono violenza e sequestri la vera pandemia. Allarme di Caritas e Msf
Haiti è uno dei 26 Paesi del Sud del mondo ancora senza vaccini

Haiti è uno dei 26 Paesi del Sud del mondo ancora senza vaccini - Guillaume Binet/MYOP – MSF France

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Il carico s’è fermato sempre nel mare dei Caraibi, ma un migliaio di chilometri a sud-est di Haiti. Con le scatole di vaccino nell’atollo di Santa Lucia, giovedì, il progetto solidale Covax ha potuto tagliare il traguardo dei cento Paesi a reddito medio-basso raggiunti: 42 giorni dopo la prima consegna al Ghana. E, da allora, alla lista si sono aggiunte altre due nazioni, portando il totale a 102. Certo, alcune hanno ricevuto una quantità a malapena simbolica. Come ha sottolineato il direttore dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) – uno dei promotori dell’iniziativa, insieme all’Ue e dell’alleanza Gavi –, Tedros Adhanom Ghebreyesus, dei 700 milioni di farmaci somministrati, appena lo 0,2 per cento è andato al Sud del mondo.
Ad Haiti nemmeno quello. Immerso in una crisi politica e sociale ormai da tre anni, il governo di Jovenal Moïse ha presentato in ritardo i documenti richiesti, in base a quanto riferito da Gavi. E ha anche “dimenticato” di aderire al programma pilota che avrebbe consentito di velocizzare gli invii. Risultato: lo Stato più povero d’Occidente è uno dei 26 al mondo a non aver ancora iniziato le somministrazioni. E le 756mila dosi di AstraZeneca non arriveranno prima di maggio. Se non ci saranno altri slittamenti. Alquanto probabili, secondo Covax. Il ministero della Salute si è giustificato sostenendo di voler agire con cautela per fugare ogni dubbio su AstraZeneca. Nel frattempo, il Center for human rights research and analysis, come di legge nell’ultimo rapporto del dipartimento di Stato Usa, lo ha accusato di aver speso 34 milioni di dollari per il contrasto al coronavirus «in assoluta opacità». La consegna delle fiale, inoltre, non implicherà necessariamente la loro effettiva distribuzione.
Con un sistema sanitario pubblico fragilissimo, la campagna di immunizzazione si profila complessa. La sfida più grande, però, sarà convincere gli abitanti a recarsi nei centri vaccinali. Ogni spostamento aumenta il rischio di un sequestro, l’attuale incubo nazionale: se ne registra almeno uno al giorno. E quelli non censiti – in genere rapimenti lampo – sono molti di più . «La violenza indiscriminata sui civili e il terrore di diventarne vittima è la principale pandemia haitiana. I bersagli non sono più i ricchi ma chiunque: spesso si accontentano di pochi dollari di riscatto», afferma Alberto Zerboni, coordinatore delle operazioni ad Haiti di Medici senza frontiere (Msf). Principali responsabili sono le 76 gang attive nel Paese. Mafie dei poveri, ma ben armate, da qui il sospetto di legami oscuri con la politica.
Nate e cresciute nelle sterminate baraccopoli – dove si ammassano i tre quarti della popolazione che sopravvivono con meno di due dollari al giorno –, sono in perenne conflitto per il controllo del racket delle estorsioni. E, ora, soprattutto, dei sequestri. Effetto collaterale dello stallo politico. Fin dall’inizio, la vittoria di Moïse nel 2016 è contestata dall’opposizione. Un mega scandalo di mazzette per oltre due miliardi di dollari – in cui sono rimasti coinvolti gli ultimi quattro presidenti, incluso l’attuale – ha alimentato la protesta. Il vero lockdown – che qui si chiama peyi lock –, Haiti l’ha vissuto nel 2019 quando le violente dimostrazioni contro il governo hanno fermato letteralmente il Paese. Le legislative sono saltate e, da oltre un anno, Moïse amministra per decreto. Nelle ultime settimane, a scatenare l’ira della piazza la decisione del presidente di convocare, il 27 giugno, un referendum per cambiare la Costituzione, eventualità proibita nella Carta redatta all’indomani della dittatura dei Duvalier, nel 1986. L’opposizione lo accusa di voler instaurare un regime autoritario e ne chiede le dimissioni. Ma quest’ultimo – forte del sostegno Usa – non molla: dal 18 marzo, ha imposto lo stato di emergenza in quattro aeree della capitale, dove le forze di sicurezza hanno “mano libera”. Mentre il braccio di ferro va avanti, il Paese «sprofonda nel caos», ha detto, a Pasqua, la Conferenza episcopale haitiana. L’economia, da sempre lenta e debole, ora è ferma. «A febbraio quattro milioni di persone si trovavano in situazione di insicurezza alimentare acuta. E, entro giugno, il loro numero aumenterà», spiega Clara Zampaglione, referente a Port-au-Prince di Caritas italiana. In questo scenario tragico, il Covid «è solo una fra le emergenze, non di certo la principale», aggiunge l’operatrice. I numeri sembrano, in effetti, contenuti: meno di 13mila casi e 252 morti. «Sembrano, appunto – dice Zerboni –. Solo i pochi ricchi e gli stranieri fanno i test, gli unici che possono pagare tra i 50 e i 90 dollari». «Poi perché farlo? Tanto non possiamo curarci – conclude Smith, un venditore ambulante –. Virus o pallottole, ogni haitiano vive con la morte accanto».

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