Fedeli in processione per chiedere la liberazione dei religiosi rapiti ad Haiti - Reuters
Oggi, a mezzogiorno, le campane di tutte le chiese dell’isola suoneranno all’unisono. L’iniziativa della Conferenza episcopale haitiana non vuole essere un canto di festa bensì un grido prolungato. Lo stesso urlo chiuso nelle viscere del popolo haitiano, imprigionato in un labirinto senza apparente via d’uscita. La ricostruzione incompiuta post-sisma del 2010 e gli scandali di corruzione sugli aiuti venezuelani hanno creato le condizioni perfette per la tragica tempesta politica in atto. Il duello tra il presidente Jovenel Moïse e l’opposizione – che ne contesta la legittimità – occupa il centro della scena. Nel mentre, la nazione sprofonda nel caos. L’escalation dei sequestri – la «dittatura del rapimento», l’hanno definita i vescovi haitiani – ne è la crudele manifestazione.
Domenica si è superata la linea rossa quando una gang ha catturato a Croix-des-Bouquets, alle porte di Port-au-Prince, cinque sacerdoti, due suore e tre laici. Per il rilascio del gruppo – tra cui ci sono due francesi – ha chiesto un riscatto di un milione di dollari. Nell’occhio del ciclone, Moïse ha sacrificato il premier, Joseph Joute, sostituito dal ministro degli Esteri, Claude Joseph. Di fronte a questa deriva, la Chiesa ha invitato scuole, università e tutte le istituzioni cattoliche a un «gesto clamoroso»: chiudere i battenti oggi, giorno in cui, nelle celebrazioni, si pregherà «per chiedere a Dio un cambiamento di Haiti».
I vescovi, inoltre, riuniranno per la Messa, alle 12, nella chiesa di Saint-Pierre della capitale. «Il rapimento di Crois-des-Bouquets dà la misura della gravità della situazione. Preti e religiosi godono di un rispetto sociale immenso. Toccandoli, le gang ci dicono che nessuno è al sicuro», afferma Fiammetta Cappellini, rappresentante di Avsi ad Haiti.
Il proliferare delle bande – per numero e componenti – è effetto collaterale dell’invisibilità in cui la pandemia e la crisi globale hanno fatto precipitare Haiti. «Nel Paese, il Covid ha avuto un impatto contenuto. Il mondo, però, da sempre distratto, ora ha completamente dimenticato l’isola. La miseria è feroce: la metà della popolazione dipende dagli aiuti per il cibo – conclude Cappellini, che ha appena terminato la distribuzione di 30mila buoni alimentari nella baraccopoli di Martissant –. La cooperazione langue. Per fortuna, ci è rimasto il sostegno dell’ufficio Echo della Ue. In questo scenario, le gang sono per i giovani l’unica opzione. Siamo vicini al punto di non ritorno. Se la comunità internazionale continuerà a voltarsi dall’altra parte, ci ritroveremo un’altra Somalia nei Caraibi».