martedì 21 marzo 2023
Notte di rivolta e incendi: 11 poliziotti feriti, centinaia di fermi. L'esecutivo ha ottenuto la fiducia per soli 9 voti per varare la misura che innalza a 64 anni l’età per il ritiro dal lavoro
Governo salvo per un soffio: sì alla riforma delle pensioni. Esplode la rabbia

Ansa

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Notte di rabbia e incendi a Parigi, dove la situazione si è infiammata in diversi quartieri dopo che le mozioni di sfiducia non sono riuscite a provocare la caduta del governo e del progetto di riforma delle pensioni. Sono 287 i fermi, di cui 234 a Parigi. Undici poliziotti feriti.

Nella capitale ci sono stati momenti difficili al passaggio di piccoli gruppi di dimostranti in grado di sorprendere la polizia e invadere diversi quartieri bruciando cassonetti e danneggiando panchine e mobilio urbano, biciclette e materiale di cantieri. I pompieri, con grossi camion e idranti, arrivavano dietro i poliziotti e spegnevano gli incendi appiccati. Particolarmente d'effetto è stata l'invasione della Bastiglia e del Marais, attorno a mezzanotte, con giovani che hanno acceso fuochi e sono fuggiti.

Stamani il presidente Emmanuel Macron riceve la premier Élisabeth Borne, poi in serata tutti i parlamentari della maggioranza. Domani Macron si rivolgerà ai francesi rispondendo in diretta tv, alle 13, alle domande dei giornalisti di TF1 e France 2.

Il governo Macron resiste al voto di sfiducia

Alla fine, dopo ore di tensione estrema e le forche caudine d’un duplice voto parlamentare di sfiducia potenzialmente devastante, il governo francese è riuscito ieri sera a tirarsi d’impaccio d’un soffio, ad appena 9 voti dal precipizio. Ma come mai prima, il presidente Emmanuel Macron e la sua maggioranza hanno sudato freddo, nella scia della scelta presidenziale d’approvare forzosamente la contestatissima riforma delle pensioni, giovedì scorso, contro il parere dei sindacati e dell’opinione pubblica, ma soprattutto senza accettare un varo parlamentare ordinario. Sul filo degli interventi di fuoco dei capigruppo dell’opposizione, come la leader ultranazionalista Marine Le Pen, il pomeriggio di ieri all’Assemblea Nazionale s’è trasformato in una veemente requisitoria per mettere in dubbio il Dna democratico dell’esecutivo, pronto a ricorrere al controverso articolo 49 comma 3 della Costituzione che concede al governo la possibilità di schivare anche in extremis, com’è avvenuto proprio giovedì, un voto prevedibilmente sfavorevole, approvando di forza una bozza senza più consultare i rappresentanti del popolo.

«Non siete riusciti a trovare alleati, non siete riusciti a convincere, allora avete ceduto a una scorciatoia ed evitato la sanzione del voto. Quella votazione l’avreste molto probabilmente persa, ma questa è la regola delle democrazie!», s’è inalberato l’accusatore numero uno del giorno, l’anziano centrista Charles de Courson, decano dei deputati e alla guida del piccolo gruppo Liot (Libertà, indipendenti, Oltremare e territori), che conta appena 20 seggi. Ma ancor più del corposo battaglione lepenista, all’origine di una delle due mozioni di siluramento, è stato paradossalmente il più esiguo gruppo dell’emiciclo, proprio quello dei Liot, a trasformarsi in un leone minaccioso, presentando la mozione di gran lunga più temibile.

Proprio quella che si è poi fermata a 278 voti, sui 287 necessari per rovesciare i ministri e soprattutto la premier Élisabeth Borne. Quest’ultima, è rimasta ieri a lungo impassibile, davanti alle sferzate oratorie incassate dal vivo, interpretando a denti stretti quello scomodissimo ruolo di “parafulmine” e di potenziale “fusibile” che il sistema semipresidenzialista alla francese prevede per l’inquilino dell’Hotel Matignon, di gran lunga politicamente più fragile ed esposto rispetto al presidente. Borne, quando le è toccata la parola, ha cercato di difendersi come ha potuto, in mezzo a un’Assemblea a tratti inferocita: «L’odio e la brutalità non dovrebbero trovare posto nel dibattito parlamentare», ha replicato sulla forma, prima di difendere l’operato governativo: « Non siamo mai andati tanto in là nella costruzione d’un compromesso come con questa riforma».

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A prova di ciò, la premier ha citato le «170 ore di dibattito» attorno al progetto di legge per far slittare progressivamente l’età legale pensionabile da 62 a 64 anni, in modo da riportare il sistema pensionistico in pareggio finanziario nel 2030. Per Borne, il “49.3” non è «l’invenzione di un dittatore ». Concretamente, alla fine, a salvare il governo è stata la buona tenuta degli ordini di scuderia impartiti dall’opposizione neogollista ai propri deputati, anche se fra questi ultimi, comunque, i franchi tiratori antigoverno sono stati più numerosi di quanto si fosse creduto per gran parte della giornata, in mezzo a un girandola frenetica di ‘soffiate’ e altre presunte indiscrezioni provenienti proprio dal partito un tempo dietro all’ex presidente Nicolas Sarkozy, ormai decisamente ridimensionato dallo scrutinio dell’anno scorso, ma ancora capace, in certi casi, d’assumere il ruolo d’ago della bilancia.

L’aspra diatriba nell’emiciclo è stata trasmessa in diretta da radio e televisioni, in una giornata segnata fin dall’alba nel Paese da blocchi stradali inopinati presso le circonvallazioni di vari capoluoghi e altri gangli stradali nevralgici, sullo sfondo di tanti altri disagi residui nei trasporti (treni, aerei, mezzi urbani) e della paralisi parziale delle raffinerie petrolifere portuali che sta conducendo a situazioni di penuria crescente di carburanti nelle stazioni di servizio. In serata, a Parigi, nella scia delle immagini in diretta del voto, si sono visti tafferugli e scontri fra giovani attivisti e la polizia pronta a impiegare i lacrimogeni, soprattutto in due quartieri della Riva sinistra, compresa la zona universitaria di Tolbiac.

Intanto, per ostacolare in extremis la riforma, la sinistra ha imbastito pure un tentativo di ricorso al referendum. Da parte loro, i sindacati chiedono ai lavoratori di non rinunciare alla nuova giornata nazionale d’agitazioni prevista giovedì.

Per certi commentatori, la «crisi di regime» delle ultime ore mostra i limiti d’un sistema istituzionale che, pur presentato ancora come erede lontano d’una rivoluzione, accorda di fatto oggi all’esecutivo, in modo sbilanciato, un potere interno con pochi equivalenti fra i Paesi democratici. Domenica, Macron aveva esortato il Parlamento ad «andare fino in fondo nell’iter democratico, rispettando tutti». Parole definite da certi sindacalisti e leader dell’opposizione come una «provocazione».

Adesso, a meno di colpi di scena durante gli ultimi vagli tecnici istituzionali, la riforma pare pronta a prendere il largo. Ma per Macron, il resto della legislatura s’annuncia come una probabile tempesta.

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