Se ancora non siamo, come pur qualcuno ha scritto, alla prima guerra del football, certo è che il confronto calcistico tra Algeria ed Egitto si è tutt’altro che concluso con il fischio finale della partita che mercoledì scorso ha qualificato gli algerini ai Mondiali di calcio del Sudafrica. Perché il calcio, con le sue gioie e le sue frustrazioni, sta rivelando una tensione che travalica lo sport e sfocia in un duello ravvicinato tra due Paesi che, pur uniti dalla fratellanza araba, covano da tempo una rivalità che poco ha a che vedere con l’agonismo sportivo. E lo si vede, al di là delle reazioni governative, proprio dallo sfogo della piazza, da quelle manifestazioni di strada che al Cairo come ad Algeri hanno preceduto e seguito quella che doveva essere una semplice partita di calcio.Nella capitale egiziana il bilancio dell’ultima notte di scontri tra manifestanti e polizia parla di 35 feriti (tra i quali 11 agenti), 15 automobili distrutte, le vetrine di quattro negozi in frantumi. Volevano l’assalto all’ambasciata algerina, le migliaia di tifosi trasformatisi in vandali, volevano vendetta per quella ventina di supporter egiziani rimasti feriti nel post-partita di Khartum, il campo neutro nel quale un gol del difensore AntharYahia ha spedito i Faraoni nell’oblio e i «fennecs», le «volpi del deserto» algerine, nell’olimpo mitologico degli eroi nazionali.Un assalto, quello all’ambasciata, ripetuto anche ieri dopo la preghiera del venerdì. E organizzato sull’onda di voci che parlavano di tifosi egiziani pestati e uccisi dai rivali dopo lo spareggio, seppur non di morti si era trattato ma di feriti per una sassaiola ai finestrini dei bus che conducevano gli egiziani all’aeroporto. Sassaiola uguale e contraria a quella che aveva «accolto», una settimana fa, la squadra algerina al Cairo, lì dove gli egiziani vincendo 2-0 avevano costretto l’Algeria allo spareggio di Khartum giocatosi mercoledì.Aizzati dai media, algerini ed egiziani hanno così trasformato una partita per i Mondiali nella madre di tutte le battaglie. Ad Algeri nei giorni scorsi tifosi inferociti hanno distrutto gli uffici della compagnia egiziana di telecomunicazioni Orascom e della Egypt Air, e sono stati almeno 200 gli egiziani che hanno dovuto lasciare l’Algeria per paura di rappresaglie. Dopo la qualificazione raggiunta a Khartum la situazione ad Algeri si è calmata (ma sono stati ben 18 i morti nei festeggiamenti), mentre la rabbia è esplosa al Cairo.Una rabbia alimentata dai giornali e dai politici locali, con il figlio del presidente Hosni Mubarak, Alaa, che parla di «terrorismo» algerino. Il Cairo ha richiamato il proprio ambasciatore ad Algeri per «consultazioni» e ha convocato quello algerino per chiedere «protezione» per gli egiziani in Algeria. Stessa mossa da parte di Algeri, che ieri ha chiesto all’ambasciatore egiziano di trasmettere alle autorità del Cairo «lo sconcerto e la grande preoccupazione» dell’Algeria di fronte all’escalation egiziana. Da aggiungere, peraltro, che anche il Sudan, in quanto Paese ospitante dello spareggio, è entrato nella disfida. Le accuse alla polizia di non aver protetto abbastanza i tifosi egiziani, rimbalzate sui media del Cairo, hanno infatti spinto Khartum a convocare l’ambasciatore egiziano per comunicargli le protesta del governo.In tutta questa triangolazione sportiva-politico-diplomatica le uniche parole di buon senso, manco a dirlo, sono venute da un religioso. Il grande imam dell’università cairota di al-Azhar, Mohamed Sayyed Tantawi, ha infatti fortemente criticato le tensioni e messo in guardia contro le lotte intestine tra i popoli arabi. «Si tratta solo di un gioco e non di una battaglia», ha sottolineato Tantawi. Si vedrà se sarà ascoltato. Quel che è certo è che in Sudafrica ci andrà l’Algeria, tutt’altro che indiziata a lasciare il segno sul campo.