lunedì 10 giugno 2024
Si aspetta il voto francese. Poi la partita della Commissione, con la maggioranza Ursula alla prova di possibili alleanze di centrodestra. Verosimile frenate sulle politiche ambientali e sull'Ucraina
Ecco che cosa può succedere con un nuovo Parlamento Ue più euroscettico
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Il nuovo Europarlamento è ancora a maggioranza filo-europea e filo-ucraina. L’analisi arriva da un commentatore del tutto inaspettato e non certo disinteressato: il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov. Il quale ha poi aggiunto che i partiti di destra stanno però crescendo, e tale dinamica li porterà presto a eguagliare o superare l’altro blocco. Questa parte dell’analisi è forse più un auspicio che una constatazione. Ma, nel complesso, quella che arriva da Mosca è una fotografia realistica sia dell’attuale composizione dell’Assemblea di Strasburgo secondo alcune delle più importanti linee di divisione di questi anni sia il segno di quanto la Russia abbia gli occhi sull’Unione europea come suo principale competitore politico.

Una circostanza che, malgrado il clima bellico in cui si sono svolte queste elezioni, non sembra avere interessato o mobilitato grandemente gli elettori del Continente. Meno del 50% è andato alle urne, e tanti hanno dato la loro preferenza a formazioni che di sostenere Kiev sono poco o punto interessate, quando non risultano addirittura sensibili alle ragioni di Putin.

Che accadrà dunque nell’Europa che esce dalle urne del 6-9 giugno? Per ora, gli effetti più rilevanti si sono avuti in singoli Paesi, dalla Francia che torna al voto il 30 giugno in seguito al trionfo di Marine Le Pen alla Germania che vede il governo in minoranza rispetto al mutato quadro uscito dalle urne che premia Cdu ed estrema destra; dal Belgio che perde il premier De Croo punito dal voto all’Ungheria dove viene in parte ridimensionato il dominio di Viktor Orbán. A livello continentale, l’“alleanza Ursula” tra popolari, socialisti e liberali che ha votato nel 2019 Von der Leyen ha ancora i numeri e, anzi, sembra per ora l’unica coalizione realistica capace di raggiungere i numeri necessari. Inoltre, va considerato che le scelte principali per la Ue sono ancora appannaggio dei capi di Stato e di governo riuniti nel Consiglio europeo.

Di fatto, quindi, Macron e Scholz continueranno ad avere voce in capitolo quando si tratterà di decidere altre eventuali sanzioni a Mosca o dare il via libera a provvedimenti per l’Unione. In realtà, è probabile che si vivranno mesi di stasi politica, con una fase di osservazione e di grandi manovre, in vista di assetti rivisti. Prima ancora che si metta in moto la macchina dell’Europarlamento a inizio di luglio, tutti gli occhi saranno puntati sulle elezioni francesi. Se vi sarà una vittoria del Rassemblement National (Rn)e il giovane Sbardella diventasse primo ministro, la coabitazione forzata e innaturale con Macron ridimensionato avrebbe certamente un impatto anche fuori Parigi.

C’è, a seguire, la partita per la Commissione europea, presidente da confermare o sostituire compreso. Molto ruoterà intorno alla collocazione dei partiti che non hanno attualmente casa certa, a partire dall’ungherese Fidesz e dai tedeschi di Alternative für Deutschland (AfD). Il modo in cui si ricostituiranno le famiglie euroscettiche dei Conservatori e riformisti (con Fratelli d’Italia) e di Identità e Democrazia (con il Rn, che ha espulso AfD perché troppo estremista) sarà importante per capire se i tentativi (molti difficili) di creare una maggioranza di centrodestra con i popolari possano avere qualche possibilità di successo. Nel frattempo, visti i sentimenti crescenti di tiepidezza nei confronti del rafforzamento della Casa Europea, tutti i leader continentali è probabile che assumano una postura di cautela verso grandi progetti comuni da avviare o da portare a compimento.

Non si può perciò escludere che il Green Deal contro il mutamento climatico subisca una battuta d’arresto; che di politiche condivise sulle migrazioni si smetta di parlare; che le aspirazioni di una revisione dei Trattati in senso federalistico o perlomeno orientata a ridurre i diritti di veto siano rimesse nel cassetto; che l’impegno a favore dell’Ucraina e di una politica europea estera e di difesa si riduca o trovi comunque minore sostegno; che la volontà di sostenere il debito dei Paesi in maggiore difficoltà finanziaria torni in discussione. In questo quadro non sorprende allora che dal Cremlino arrivino certe considerazioni. Un’Europa democratica, libera e coesa, che difende i diritti di tutti e diventa polo di attrazione è un vicino troppo scomodo per la Russia. Che tifa dunque per le divisioni, le discordie che producano paralisi e inefficacia. Uno scenario non lontano e che sarebbe meglio evitare.

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