mercoledì 28 aprile 2021
I morti in «eccesso» sono 4mila per un milione di abitanti, la cifra più alta al mondo. Msf: ospedali al limite. La Chiesa in campo per trovare ossigeno. Nello scontento, il voto premia i populisti
Pedro Castillo sfiderà Keiko Fujimori il 6 giugno

Pedro Castillo sfiderà Keiko Fujimori il 6 giugno - Reuters

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Carmen ha trascorso quattro notti di fronte alla rivendita di Huacho, sobborgo popolare nel nord di Lima, per poter ricaricare la propria bombola di ossigeno. «L’avevo promesso a mio padre. Quando è arrivato, però, finalmente, il mio turno, era troppo tardi: era già in fin di vita», racconta la donna di 48 anni. Ricoverato in ospedale, l’anziano non ha trovato posto in terapia intensiva ed è morto soffocato nell’attesa. «È stato il mio tredicesimo lutto. Questo incubo sembra non finire mai…». Come buona parte dell’America Latina, il Perù è entrato nella terza ondata senza essere mai uscito del tutto dalla seconda. La nuova impennata, è cominciata a marzo, quando la variante brasiliana – più letale e contagiosa – ha scavalcato la frontiera. «Proprio come accaduto nel Gigante del Sud, la porta d’entrata è stata la metropoli amazzonica di Iquitos. In breve, è dilagato ovunque», racconta, ad Avvenire, Jorge Martín, coordinatore sanitario di Medici senza frontiere (Msf) nella nazione. Impossibile per il sistema ospedaliero reggere, con appena 2.500 letti in terapia intensiva. «E sono stati perfino incrementati nell’ultimo anno», aggiunge l’esperto. Ad aprile, dunque, le cliniche sono andate al collasso. «La situazione più grave è a Lima e nei sobborghi limitrofi, come Huacho, densamente popolati e con un altissimo tasso di lavoratori informali, che non possono rispettare le restrizioni».
Dall’inizio del mese, si è registrata una media di quasi 10mila nuovi casi e 300 morti al giorno, un impennata di oltre il 50 per cento rispetto al mese precedente. Dati che, però, secondo il Sistema informático nacional de defunciones andrebbero moltiplicati per quattro. Se si sommano anche le morti sospette o compatibili con il Covid per cui non è stato fatto il test, si superano i 1.100 decessi quotidiani, mentre il totale oltrepasserebbe quota 160mila su una popolazione di 33 milioni di abitanti, cioè 100mila in più del calcolo ufficiale. Rispetto ai dati del 2020, i «morti in eccesso» per milione di abitanti sono oltre 4mila, il numero più alto al mondo. In compenso, è anche quello con i più bassi tassi di vaccinazione ogni cento individui del Continente, dove – a parte l’eccezione cilena –, la campagna di ritardo procede ovunque a rilento. In queste condizioni, l’infezione continua ad allargarsi e i nuovi colpiti difficilmente troveranno posto in ospedale. «L’unica alternativa è curarli all’inizio, prima che la malattia si aggravi e debbano essere intubati«, prosegue Martín. Anche perché l’ossigeno scarseggia. Nonostante la penuria sperimentata l’anno scorso, la produzione non è stata incrementata. «C’è stata una evidente incapacità di pianificazione da parte delle autorità», ha denunciato il Colegio médico di Arequipa. Sentendosi abbandonati, i cittadini dei quartieri più poveri hanno fatto ricorso a un’inedita creatività per procurarsi le bombole.
A Puente Piedra, nel nord della capitale, le persone hanno organizzato una lotteria per racimolare fondi e acquistare un mini-impianto di fabbricazione. Il maggior contributo è arrivato dalla Chiesa che lo scorso luglio ha lanciato la campagna Respira Perú. «Una grande alleanza di solidarietà a cui si sono uniti migliaia e migliaia di peruviani – spiega monsignor Miguel Cabrejos, presidente dei vescovi della nazione –. Come dice papa Francesco, nessuno si salva da solo. Solo insieme possiamo affrontare le avversità». Insieme alla Società nazionale degli industriali e all’Università San Ignacio de Loyola, la Conferenza episcopale peruviana ha raccolto oltre 3,5 milioni di dollari e creato 17 siti per la produzione di ossigeno nelle zone più povere del Paese, oltre a distribuire migliaia di respiratori. La fame d’ossigeno, però, resta alta. E con essa cresce il malcontento nei confronti dell’establishment politico, considerato incapace di gestire l’emergenza o, peggio, corrotto. Il Covid, dunque, è diventato il catalizzatore della crisi politica, finendo per contagiare anche le urne, come hanno dimostrato i risultati del primo turno delle presidenziali dell’11 aprile. In una competizione caratterizzata dall’estrema frammentazione, hanno prevalso – con percentuali inferiori al 20 per cento – i due candidati “di rottura”. Da una parte, il maestro e sindacalista anti-capitalista Pedro Castillo. Dall’altra l’esponente dell’ultra-destra, Keiko Fujimori, figlia dell’ex dittatore Alberto, in carcere per crimini contro l’umanità e lei stessa al centro di una serie di scandali per mazzette. Al momento, Castillo è in testa ai sondaggi in vista del ballottaggio del 6 giugno, con il 41 per cento e 20 punti in più rispetto alla rivale. Ma a Lima la situazione è ribaltata. E l’esito della battaglia è tutt’altro che scontato.

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