Dopo un mese di violente proteste e 48 ore di intense trattative, il Cile tenterà di uscire dal tunnel della grave crisi politica e sociale sotterrando ciò che restava (dopo i piccoli emendamenti del 2005) della Costituzione della dittatura di Augusto Pinochet. Grazie all’accordo raggiunto all’alba di ieri fra il governo di Sebastián Piñera e l’opposizione, per aprire un processo costituente, con un referendum nell’aprile 2020. I cileni dovranno esprimere se vogliono una nuova magna carta e che tipo di organo dovrà redigerla. Se una convention mista, formata per metà da parlamentari in carica e l’altra metà da delegati eletti ad hoc; oppure un’assemblea costituente eletta ex novo a tal fine, che si scioglierà una volta concluso il compito.
«È una giornata storica in cui offriamo una Costituzione 100% democratica», ha celebrato il presidente del Senato, Jaime Quintana, affiancato dai rappresentanti di tutti i settori politici, nel presentare l’“Accordo per la pace sociale e la nuova Costituzione”. Che è auspicata da 8 cileni su 10, secondo i sondaggi. Ma non è certo che basti a frenare le proteste, inizialmente scatenate dall’aumento del prezzo del biglietto della metro di Santiago, poi estese all’intero paese con un’ondata di violenza fuori controllo, che ha scosso il governo di centrodestra di Piñera. E lasciato sul terreno almeno 22 morti, oltre 2mila feriti fra i manifestanti e 1.700 fra carabineros e forze armate, e 16mila arresti. Con pesanti contraccolpi, per i danni alle infrastrutture, sulla crescita economica, già debilitata. Disuguaglianze ed esclusione all’origine del malessere che attraversa tutte le categorie sociali.
Le manifestazioni non si sono fermate, come quella coincisa giovedì con l’anniversario della morte del primo giovane mapuche, Camilo Catrillanca, per uno sparo alla testa da parte dei Carabineros.